La storia, si sa, non è fatta di buoni e di cattivi, ma di mille sfumature. Certo è che, tuttavia, vi sono stati eventi che meritano la nostra attenzione per non cadere in errori grossolani per quanto riguarda il giudizio storico, sociale e religioso.
Un cammino pericoloso potrebbe essere quello che ci vede giudicare il popolo ebraico, non tanto a partire da questi ultimi secoli, quanto invece a partire dalla Passione di Gesù Cristo. “Appena fugiorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al loro sinedrio e gli dissero: “Se tu sei il Cristo, dillo a noi”. Rispose loro: “Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma d’ora in poi anche il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio” ”. Qui siamo davanti al tribunale ebraico, la scena appena citata si trova in Lc 22, 66-71. La stessa scena viene narrata anche in Marco, in Giovanni e in Mt 27,57-67. La scena in Matteo si conclude con toni piuttosto brutali: “Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: “Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?”.
La domanda che dobbiamo porci è: la morte di Gesù chi vede come responsabile? Affermare che responsabile della morte di Gesù sia il popolo ebraico sarebbe un po’ superficiale. Per quanto vari giudei del tempo chiedessero la morte (in croce) di Gesù, dobbiamo analizzare con spirito critico ciò che è accaduto. Anzitutto Gesù ha rappresentato, tra le varie cose, anche un fenomeno sociale molto interessante: ha riabilitato il ruolo della donna (il suo gruppo era aperto alle donne, prende le difese di una donna adultera, varie donne sono al centro dei suoi incontri…), riabilita i samaritani (parabola del buon samaritano, samaritana al pozzo), annuncia la librazione degli schiavi, perdona i peccati, caccia i venditori fuori dal tempio di Gerusalemme, va contro al legalismo come nel caso del Sabato… I farisei, più in generale le autorità religiose giudaiche dell’epoca, cominciano a vedere di cattivo occhio le azioni compiute da Gesù. D’altra parte Gesù mostra il fallimento di una tradizione religiosa, e in un secondo tempo politica, prendendosela proprio con le autorità. Spesso gli scribi, i farisei e i sacerdoti del Tempio sono i più criticati da Gesù. Cominciano così a tramare contro Gesù di Nazareth.
Ma chi è che prende realmente le decisioni? Ponzio Pilato, come autorità romana, il Sommo Sacerdote Caifa, il sinedrio, e poi abbiamo anche un altro responsabile della morte di Gesù, Giuda Iscariota. Dire che i giudei siano stati gli unici e veri responsabili della morte di Gesù rischia, ancora oggi, di provocare forme di antisemitismo verso la comunità ebraica. Questo è un rischio che non possiamo correre, non perché temiamo la comunità ebraica, ma perché qualsiasi forma di antisemitismo rappresenta ignoranza e inciviltà. Per questo motivo il Concilio Ecumenico Vaticano II, tra i vari documenti, ne ha partorito uno davvero speciale, dal titolo “Nostra Aetate”. È questa una dichiarazione che riguarda il tema del senso religioso e dei rapporti tra la Chiesa cattolica e le religioni non cristiane. Una prima bozza fu presentata dal Papa che aprì il Concilio, San Giovanni XXIII, ma il lavoro fu portato a termine dal Pontefice che chiuse il Concilio, San Paolo VI. Qui Papa Montini mette in risalto la continuità che c’è tra Israele e la Chiesa, riconoscendo in Israele, cioè nel popolo eletto, le radici della Chiesa, e dice espressamente: “E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione,
non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro
tempo”. Dunque ha senso, nell’insegnamento cristiano, soffermarsi sulla croce di Cristo? Come
afferma sempre la Nostra Aetate: “Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è […] di annunciare
la croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia”. Ecco,
dunque, in quali termini i cristiani sono chiamati a guardare alla croce di Cristo, non come segno
divisivo, antisemita, ma come segno di amore e di grazia. Anche perché una rilettura divisiva e
antisemita della croce è in sé errata e offensiva, non solo nei confronti dei perseguitati, ma anche nei
confronti della Chiesa e di Dio stesso.
I cristiani sono chiamati, oggi forse più che mai, a informarsi e a formarsi. Il cammino compiuto dalla
Chiesa non va contro la comunità ebraica, così come non va contro nessun gruppo religioso o sociale.
La Chiesa ha il compito di affermare la verità (Cristo morto e risorto per la salvezza dell’umanità), e
lo fa sempre nel rispetto del prossimo. Mai la Chiesa incoraggia forme di violenza, di razzismo, di
antisemitismo o di emarginazione sociale. Alla Chiesa sta a cuore il bene del prossimo, perché è
proprio amando il prossimo che si ama Cristo.