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Gesù: colui che porta le cose a “compimento”

Tempo di lettura: 12 minuti

Premessa:
Il titolo che ho voluto per questa riflessione sulla Quaresima prende spunto dal Vangelo secondo Matteo, ci troviamo al capitolo 5 versetto 17: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento”.
Ho scelto questo passo evangelico come punto di partenza della mia riflessione per due motivi: anzitutto perché la Quaresima è un cammino che ci porta alla Pasqua di Risurrezione di Gesù Cristo, e dunque al momento che per eccellenza dona senso alla vita di Gesù sulla terra. In secondo luogo, perché vorrei, attraverso un parallelismo biblico, mettere a confronto la figura di Mosè con quella di Gesù, figure diverse che tuttavia presentano anche svariate somiglianze.

Entriamo nella Quaresima:
Cominciamo col capire che cos’è la Quaresima. Questo termine deriva dalla parola latina “quadragesĭmus” che letteralmente significa “quarantesimo”, non a caso i giorni della Quaresima sono esattamente quaranta. Questo numero, quaranta, è spesso presente nella Bibbia, a partire dal diluvio universale (durato 40 giorni), altri 40 giorni dovettero passare per Noè prima di uscire dall’arca. Pensiamo, poi, ai 40 anni nel deserto per il popolo di Israele narrati nel Libro dell’Esodo. Pensiamo a quando il profeta Elia, perseguitato dalla malvagia regina Gezabele, si andò a ritirare per 40 giorni sulla santa Montagna. Ma, infine, pensiamo a quando Gesù, a seguito del suo Battesimo avvenuto nel fiume Giordano, si andò a ritirare per 40 giorni nel deserto dove prevalse sul demonio. Dopo la sua Risurrezione, Gesù si mostrò ai suoi discepoli per altri 40 giorni, prima di salire al Padre. Ebbene, ecco che la Chiesa ci propone ogni anno questo percorso, questo cammino, di 40 giorni, chiamato Quaresima, che segna non solo una strada da percorrere, ma anche un’attesa, un combattimento, un periodo propizio per il pentimento e, quindi, per la conversione.
Questo numero 40 ci ricorda che la nostra storia è intrecciata con una storia che ci precede, che ha attraversato tante prove, tante sfide, segnata talvolta dall’infedeltà (ricordiamo quanto Israele è stato infedele nei confronti del Signore), una storia che però ha trovato pieno compimento non in una norma scritta, non in un tempio fatto di pietre, non in un’istituzione, ma nell’amore. Solo nell’amore la storia umana trova pieno compimento. Il numero 40 diviene così un testimone silenzioso della storia umana e ci rammenta che solo nell’amore si trova pieno compimento. La Quaresima, infatti, termina con il venerdì Santo, cioè con la morte in croce di Cristo. La morte di Cristo, però, non è la fine ma semmai è il mezzo per accedere alla Risurrezione. Un Dio che dà la vita del Suo unico Figlio per noi, per ciascuno di noi. Un amore incondizionato, senza limiti, quello di chi sceglie di donare la propria vita in favore del prossimo. Nell’amore, cioè in Dio, che ha permesso la Risurrezione a seguito della morte, ogni cosa trova pieno compimento. Gesù ci ha manifestato questa grande verità attraverso la sua stessa esistenza, non a caso Gesù viene definito come “teofania”, ossia “manifestazione di Dio”. Troviamo conferma di quanto detto in Giovanni 14,8-11: “Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse”.
Possibile interpretazione storica sulla morte di Gesù:
Nella premessa dicevo che c’è un parallelismo tra la figura di Mosè e quella di Gesù. Tale parallelismo l’ho inserito nel discorso sulla Quaresima attraverso il numero 40. Ma su quali punti, effettivamente, si può sostenere un parallelismo tra Mosè e Gesù?
Anzitutto sia Mosè che Gesù condividevano, sebbene in maniere differenti, l’aspetto sacerdotale. La parola “sacerdote” deriva dal latino “sacer” (sacro) e “facere” (fare, rendere), dunque il sacerdote è colui che, attraverso il proprio ruolo, è in grado di rendere sacro qualcosa. Possiamo dire, alla luce di quanto detto, che il sacerdote è il mediatore tra Dio e l’uomo, poiché è colui che si “occupa” del sacrificio. Pensiamo al sacrificio che veniva compiuto nel Tempio di Gerusalemme, un sacrificio decisamente più cruento rispetto al sacrificio inteso in termini cristiano cattolici. Il sacrificio giudaico prevedeva di scuoiare un agnello e doveva essere fatto al Tempio di Gerusalemme, in quella che oggi è la Spianata delle Moschee di al-Aqsa. Già qui notiamo come la storia di Gesù si intreccia con quella giudaica: l’evangelista Luca nel capitolo 23 afferma che il giorno della morte di Gesù coincide con il giorno della Parasceve: “Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò. […] Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato”. Ma cos’è questa Parasceve? Era il giorno che preparava al Sabato (lo Shabbat era una fondamentale istituzione per i Giudei). Un’interessante teoria storica afferma che l’anno in cui morì Gesù, la Parasceve coincidesse con il 14 Nisan, primo mese del calendario ebraico. Questo mese è molto importante per i giudei perché il quindicesimo giorno cade la festa di Pesach, ossia la Pasqua ebraica. Noi ci troveremmo, in questo modo, nel giorno antecedente la Pasqua ebraica. Come riportato dal sito “La Nuova Bussola Quotidiana”, al tempo dell’imperatore Adriano viveva Flegonte di Tralles, uno storico che “associa la crocifissione di Cristo al quarto anno dell’olimpiade 202. Le olimpiadi antiche si tenevano, come oggi, ogni 4 anni ed in estate. L’anno olimpico iniziava il primo luglio e quel giorno iniziava il cosiddetto “primo anno”. Dunque, l’olimpiade numero 202 andò dal 1 luglio del 29 d.C. al 30 giugno del 33 d.C. ed il quarto anno corrisponde al 32-33 d.C., in linea con gli indizi che pongono la passione di Gesù ad inizio aprile del 33 d.C., quando il 14 nisan cadde di venerdì”. Ora, finalmente, arriviamo al nocciolo della questione: cosa accadeva il 14 Nisan? In quel giorno i giudei sgozzavano gli agnelli in vista della Pasqua ebraica. Gesù, dunque viene crocifisso il giorno della Parasceve che quell’anno coincideva con il 14 Nisan. Pertanto, Gesù, ucciso il 14 Nisan, appare come l’agnello per eccellenza. Da sempre, nella simbologia biblica, l’agnello è simbolo di purezza e mansuetudine, e così pure è Gesù.
Nel caso di Gesù assistiamo a un sacrificio più unico che raro: Gesù non è un “semplice” sacerdote chiamato a compiere il sacrificio, ma è egli stesso il sacrificio. L’agnello ucciso è Gesù stesso, in prima persona. In questo senso, l’aspetto sacerdotale di Gesù si differisce dal sacerdozio vissuto da Mosè.

Aspetto sacerdotale di Mosè e aspetto sacerdotale di Gesù:
Mosè è sacerdote inteso come “mediatore”. La mediazione di Mosè è insieme sacerdotale, profetica e sapienziale. Mosè è sacerdote nella misura in cui interviene nel culto al Signore. La mediazione profetica di Mosè è, invece, ricordata molto bene in Deuteronomio 34,10-12: “Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè – lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia – per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nel paese di Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutto il suo paese, e per la mano potente e il terrore grande con cui Mosè aveva operato davanti agli occhi di tutto Israele”. Infine, la mediazione sapienziale di Mosè, definita anche “regale”, si manifesta quando egli guida il popolo d’Israele nel deserto. In quest’ultima circostanza si può vedere, proprio attraverso la figura di Mosè, la regalità del Signore, che ama e si prende cura del Suo popolo, sia nei beni di prima necessità che nella riappacificazione di eventuali discordie e divisioni all’interno del popolo.
Ora passiamo all’aspetto sacerdotale di Gesù. Vorrei spiegare questo concetto rifacendomi alle parole di Mons. Albert Vanhoye, il quale fu un cardinale (francese), appartenente alla Compagnia di Gesù (Gesuiti). Il cardinale Vanhoye morì il 29 luglio 2021 all’età di 98 anni. Tra i vari incarichi ricoperti in vita Mons. Vanhoye fu Rettore del Pontificio Istituto Biblico dal 1984 al 1990 e Segretario della Pontificia Commissione Biblica dal 1990 al 2001. Tra le opere da lui scritte possiamo trovare “La novità del sacerdozio di Cristo” dove, nella conclusione, egli scrive: “L’oblazione sacerdotale di Cristo ha come risultato definitivo la sua attuale posizione di mediatore perfetto, dotato di insuperabili capacità di relazione. Nella Lettera agli Ebrei due aggettivi esprimono queste capacità: Cristo è diventato sommo sacerdote “fedele” e “misericordioso” (Eb 2,17). Il primo aggettivo, “fedele”, esprime la capacità riguardo alle relazioni con Dio: “fedele nelle cose che riguardano Dio”. L’altro aggettivo, “misericordioso”, esprime la capacità di comprensione, di compassione e di aiuto per noi uomini. Negli eventi della passione e della glorificazione di Cristo questa duplice capacità è stata portata al culmine”.
Possiamo dire che il sacerdozio vissuto da Mosè è stato reso “nuovo” da Gesù. Un primo parallelismo tra il sacerdozio di Mosè e quello di Gesù è nella scelta del successore: Mosè scelse Giosuè, mentre Gesù scelse Pietro; Come Giosuè ebbe il compito di guidare le dodici tribù d’Israele a seguito dell’esodo dall’Egitto, così Pietro ebbe il compito di guidare la Chiesa delle origini. Nel parallelismo sacerdotale, poi, possiamo ricordare la scelta del numero tre (sia Mosè che Gesù scelsero tre uomini come loro aiutanti più stretti: Aronne, Nadab e Abihu per Mosè e Pietro, Giacomo e Giovanni per Gesù). Poi possiamo ricordare la rilevanza del numero dodici (Mosè guidò le dodici tribù d’Israele, Gesù istituì i Dodici Apostoli). E, infine, il numero settanta (70 erano gli anziani di Israele e 70 furono i discepoli di Gesù).

Il serpente e la croce:
Un altro “classico” parallelismo che viene fatto quando si parla di Mosè e Gesù è quello del serpente e della croce. Quando si parla del serpente, in riferimento a Mosè, si fa riferimento a un episodio narrato nel Libro dei Numeri (21,1-8), il quale narra che il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita”. Prosegue, poi, il Libro dei Numeri dicendo che: “Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita”. Qui entriamo in quello che definirei “apparente paradosso biblico” perché il serpente, solitamente, è simbolo di morte e di male (pensiamo al serpente presente in Genesi). In questo caso, invece, il serpente fabbricato da Mosè diviene garanzia di salvezza e, quindi, di vita.
Un discorso analogo lo possiamo fare in riferimento alla croce di Gesù Cristo. La croce, lo sappiamo bene, indicava una delle peggiori pene di morte in voga tra i romani dell’epoca. Tuttavia, la croce di Gesù risulta essere differente, poiché diviene il mezzo della liberazione dal peccato e dalla morte. Come può la croce passare dall’essere simbolo di morte a diventare simbolo di riscatto e di vita? Ovviamente si parla di “mistero della croce”. Quest’ultima parte richiede non tanto una risposta filosoficamente chiara e accettabile, poiché il Dio cristiano non è il Dio dei filosofi, in quanto Dio non si fa “incastrare” nei ragionamenti e negli schemi umani. Pertanto, la croce di Cristo indica, per noi, uno stile di vita da perseguire, direbbe l’evangelista Marco al capitolo 8: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà; ma chi perde la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.
Pertanto, come il serpente innalzato da Mosè, avrebbe garantito la vita a coloro che l’avessero guardato, così la croce garantisce la vita a chiunque è disposto a mettersi alla sequela di Cristo e, quindi, a imitarlo. La differenza sostanziale tra il serpente e la croce è che il serpente garantisce una vita ad ogni modo mortale, mentre la croce diviene portale per la vita “eterna”. Serpente e croce, poi, sono un “no” secco al male e un’adesione sincera al bene. In altre parole, come fu detto a Cremona, il 2 marzo 2022, durante una Lectio Magistralis, in occasione del Mercoledì delle Ceneri: “La sequela di Cristo crocifisso non potrà mai essere accettazione passiva del male presente”. La croce è una strada da percorrere fino in fondo, è un impegno, è un atto di fedeltà, è un atto d’amore, il più grande atto d’amore che esista: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Altre analogie tra Mosè e Gesù:
Dopo avere spiegato, abbastanza nel dettaglio, sia l’aspetto sacerdotale che il parallelismo tra il serpente e la croce, vado ora a illustrare, sebbene in maniera più sintetica, altre allegorie tra Mosè e Gesù.
C’è anzitutto un aspetto di “rivelazione”. È vero, come detto in precedenza, che Gesù è la più grande Rivelazione di Dio all’uomo; tuttavia, Dio si è manifestato/rivelato anche lungo tutto l’Antico Testamento attraverso i profeti. Per quanto riguarda la Rivelazione di Dio in Gesù vorrei molto semplicemente riprendere le parole che ci fornisce il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC): “Dio si è rivelato pienamente mandando il suo proprio Figlio, nel quale ha stabilito la sua Alleanza per sempre. Egli è la Parola definitiva del Padre, così che, dopo di lui, non vi sarà più un’altra rivelazione” [1].
È vero che anche Mosè ci ha rivelato qualcosa su Dio. Come riportato nel Libro dell’Esodo 3,13-14: “Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!»”. Questa risposta, forse un po’ misteriosa, che Dio dà a Gesù in ebraico suona così: “’ehyeh ’asher ’ehyeh”. In questo possiamo dire che il Signore si presenta a Mosè come l’Essere per eccellenza, come ciò che sempre è stato e sempre sarà. Abbiamo già, quindi, una rivelazione del Signore Dio a Mosè: Dio è l’Essere che “ispira” gli esseri.
Poi potremmo ricordarci della trasformazione dell’acqua del fiume Nilo in sangue, così come Gesù a Cana di Galilea trasformò l’acqua in vino. Gli angeli che vegliano sulle tombe di entrambi…
Alla luce di quanto detto, possiamo affermare che Gesù si presenta come il nuovo Mosè, oltre che come il nuovo Adamo cioè come il nuovo “uomo”. In Gesù c’è una nuova creazione (in riferimento a Genesi), ma c’è anche una nuova alleanza (in riferimento all’alleanza sinaitica), come ricordato da una bella preghiera eucaristica che possiamo trovare nella celebrazione della Santa Messa: “Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi. […] Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue, per la NUOVA ed eterna ALLEANZA, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.
Infine, come ultima analogia, vorrei ricordare anche l’episodio della manna data al popolo d’Israele e l’istituzione dei pani dell’offerta. La manna, e in particolare i pani dell’offerta, sono già prefigurazione dell’Eucarestia. L’autore di Esodo usa queste parole ebraiche per indicare i pani dell’offerta: “lehem ha-panim” che letteralmente significa “pani del volto”, proprio per indicare quel volto invisibile di Dio reso in qualche modo visibile attraverso quei pani.

Conclusione:
Questo vuole essere il senso della Quaresima: 40 giorni di deserto, come furono 40 i giorni nel deserto per Gesù, come furono 40 gli anni trascorsi dal popolo di Israele nel deserto. Anche noi abbiamo una “Terra promessa”, non tanto da intendere in termini di spazio, quanto di “cuore”. La Gerusalemme nostra che ci attende è la Gerusalemme celeste, il Regno dei Cieli. Già oggi Dio ci aiuta, ci guida e ci sostiene nel pellegrinaggio terreno e lo fa attraverso la Sua Parola, attraverso suo Figlio, lo Spirito Santo, la Vergine Maria, tutti i Santi, gli Angeli e tutte le relazioni che viviamo qui. La Quaresima, in modo particolare, vuole sottolineare il senso del nostro vivere, che non è dunque un vagabondaggio (tipico cammino di chi vive alla giornata), ma è un pellegrinaggio (modalità di cammino di chi vive con una mèta ultima). Per augurare a tutti una serena Quaresima cito San Giovanni Bosco: “Camminate con i piedi per terra, e col cuore abitate in cielo”.

[1] Catechismo della Chiesa Cattolica – PARTE PRIMA, LA PROFESSIONE DELLA FEDE, SEZIONE PRIMA “IO CREDO” – “NOI CREDIAMO”, capitolo secondo “Dio viene incontro all’uomo”