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Malik e Charmalùpe

Tempo di lettura: 12 minuti

Aprii lentamente gli occhi, respirando piano mentre mi guardavo intorno confuso.

Dove ero finito? Perché ero solo? Perché ero vivo?

«Non sono bravo neanche nell’ammazzarmi. La prossima volta, mi butto direttamente giù dal balcone; altro che overdose di pasticche.»

Pensai.

Alzatomi, abbassai lo sguardo: avevo il mio pigiama indosso, come sempre, ed i piedi erano scalzi.

Intorno a me non c’era assolutamente nulla; solo bianco.

-Che è sta roba?

Commentai ad alta voce, iniziando a camminare nella speranza di trovare qualcosa o qualcuno.

-Non sapevo che l’Inferno fosse un luogo comune dei film. Quasi quasi preferivo essere un albero.

-Non sei all’Inferno, Malik.

Appena percepii quella voce profonda, mi posi subito sull’attenti.

-Chi sei? Come mi conosci? Avanti, mostrati se hai il coraggio!

-Dietro di te.

Mi girai a pugni chiusi e mi apparve una figura nera, lunga, incorporea. Mi ricordava un po’ l’immagine che i social ti inseriscono in automatico come foto profilo, ma con due grandi occhi bianchi. Sembrava fatto di scarabocchi.

-Rettifico: che cosa sei?

-Come? Non mi riconosci?

Si avvicinò. Feci un passo indietro.

-Eppure lavoriamo insieme da tanto.

-Non ti ho mai visto in vita mia, anche se forse un essere come te potrebbe aver infestato qualche mio incubo.

La figura mimò un no con la “testa”.

-Ci conosciamo dall’inizio della scuola secondaria, anche se, a dirla tutta, mi hanno affibbiato a te da molto prima.

Il coso fece uscire dall’insieme di scarabocchi del suo corpo un groviglio di fili, porgendomelo come per presentarsi.

-Sono Charmolùpe, la tua personale depressione.

La mia personale che?

-Come prego?

-Sono la tua personale depressione.

Ritrasse l’ammasso di fili dentro di sé.

-Quando accade un Marchio decisivo a qualche Sofferente, ognuno di questi viene poi affidato ad uno di noi.

-Se parli con questo linguaggio da fantasy, come ti aspetti che io capisca?

Lo interruppi seccato. Egli rimase calmissimo.

-Un Marchio è un avvenimento nella vita di voi Sofferenti che vi segnerà per sempre, in un modo come in un altro.

-Vuoi dire un trauma?

-Non necessariamente. Può anche essere un evento gioioso.

-Allora perché si diventa depressi, in quel caso?

Fece spallucce.

-Chissà. Accade e basta.

Allungò il suo collo verso di me.

-Tu perché mi hai?

Mi irrigidii.

-Fatti miei. Dovresti saperlo tu.

Charmolùpe scosse il capo.

-Non ci è dato sapere il Marchio, ma solo il nome del Sofferente.

-In ogni caso, non sei il mio psicologo. Ora dimmi come andarmene da qui.

-Devi scoprirlo tu.

Mi guardai intorno: ancora bianco.

-Almeno mi sai dire dove siamo?

-Siamo nel Rumore.

La sua risposta mi lasciò perplesso.

-Nel che?

-Nel Rumore.

L’ammasso di scarabocchi iniziò a muoversi, avviandosi verso la sua destra.

-Questo è il campo di lavoro di noi depressioni.

Fece apparire i suoi cerchi bianchi sul retro della sua testa, per potermi guardare.

-Seguimi, così ti spiego.

I cerchi furono risucchiati dagli scarabocchi e riprese a muoversi, con me dietro di lui.

-Ogni Sofferente ha il suo Rumore e cambia di volta in volta. Questo è il tuo.

-Dovrebbe farmi riflettere il fatto che non ci sia nulla?

-Non lo so, forse.

Ci fu un lungo silenzio, ma mi aiutò a pensare: perché la mia depressione stava parlando con me? Figurati se la causa dei miei problemi può aiutarmi con delle stupide lezioni di vita!

-Ohi, Charm!

-È Charmolùpe, non “Charm”.

-Va be’, per me sei Charm.

-Non sono un tuo amico. Il mio compito non è quello. Chiamami come ti pare, ma non come se fossi una persona che tiene a te, perché non è così.

-Guarda, se è per quello, vai tranquillo che me lo hai fatto ben capire.

-Grazie del complimento.

Mi trattenni a stento dal picchiarlo a suon di ceffoni, dato che sarebbe stato inutile.

-Adesso che abbiamo chiarito, mi diresti dove stiamo andando e perché sono qui o no?

-Prima il “perché ”, poi il “dove”.

-Che cosa cambia?

-Come faccio a dirti dove stiamo andando, se non sai perché  ti ci sto portando?

Charmolùpe si mantenne distante , ma i fili che componevano il suo collo si avvicinarono a me, fino ad arrivare a pochi centimetri dalla mia faccia per poi collocarsi  alla mia destra.

-Ti sei ucciso troppo in fretta.

Mi guardò.

-Non hai neanche provato a combattere contro di me. Non hai mosso un dito. Ti sei lasciato sopraffare con eccessiva velocità. Neanche un briciolo di competizione. Così non c’è gusto.

-Che ti ho detto riguardo al fatto che non sei il mio terapista?

-Visto? L’unica cosa che fai è aiutarmi. Ti tieni il groviglio e non lo srotoli perché hai paura sia di ortiche.

Non risposi.

«Da quando la depressione è filosofa?»

-Molti dei Sofferenti con i quali ho lavorato erano filosofi.

-Mi leggi pure nella mente?

-Sono la tua depressione; è ovvio che io possa.

Seccato, portai gli occhi al cielo.

-Allora riesci a rispondere anche al “dove”?

-Certo che riesco! Ti sto portando dalle Pozze.

-Hai un po’ rotto con ‘sti nomi.

-E’ il loro nome: Pozze.

Charmolùpe si fermò, ricollegando le parti del suo corpo vicino a me con le altre più distanti.

-Le vedi?

Indicò un punto davanti a sé, facendomi notare un’immensa distesa di tante pozzanghere grigiastre.

-Non per fare il Dante della situazione, ma mi spiegheresti l’utilità di ‘ste “Pozze”?

-Mi servono per lavorare.

La cosa si avvicinò ad una delle suddette pozzanghere, guardandoci dentro.

-Ti voglio ammonire facendoti vedere con i tuoi stessi occhi quanto sei imbarazzante.

-Wow, non vedevo l’ora…!

Risposi con ironia, camminando svogliatamente verso di lui.

Charmolùpe non distolse gli occhi dalla Pozza.

-Le Pozze si trovano nel Rumore di ogni Sofferente. Possono essere grandi, piccole, svariate, poche…dipende dal Sofferente. Questa è una delle tue.

Guardai nella pozzanghera e non credetti ai miei occhi: ero io alle elementari.

-Come è…?

-Zitto e osserva.

Oh mi ricordavo fin troppo bene quel momento!

Il me di 8 anni si avvicinò triste alla maestra e le tirò un po’ la gonna.

-Maestra, perché gli altri bambini non vogliono giocare con me?

-Se ti comportassi bene, forse ti inviterebbero a giocare con loro!

-Cosa faccio di male?

-Insomma Malik, sei…vivace, ecco!

-Sono strano, vero? Gli altri bambini mi chiamano così…

-Oh insomma! Se ti dà fastidio così tanto, dovresti chiederti perché sei solo; forse è proprio per questo tuo modo di fare, che dici?

Il piccolo me singhiozzò.

-Non vorrai mica piangere! Sei un maschietto Malik, non devi piangere!


Charmolùpe mi riportò alla realtà, tornando a parlare.

-Questo è uno dei tuoi Marchi. Sarebbe stato facile da sconfiggere e renderlo nient’altro che un brutto ricordo, ma non l’hai fatto.

Immerse un suo groviglio di fili dentro alla pozza.

-Potevi piangere, potevi raccontarlo a casa, potevi pure cambiare classe, cosa che ti aveva anche consigliato tua madre, ma hai scelto di chiuderti.

I suoi scarabocchi tirarono fuori un filo di lana direttamente dalla fronte del me bambino.

-La tua mente non ha neanche provato a fermarmi.

Mi mostrò ciò che aveva estratto.

-Guarda quanto è stato facile!
Il filo diventò poi parte del suo essere, aggrovigliandosi agli altri scarabocchi.

-Ero piccolo, come puoi pretendere che mi venisse anche solo in mente di combattere?

-Pessima scusa. A quell’età, tutti sono impulsivi e si lasciano andare. Tu no. Se non ti basta questo come risposta, analizziamo un’altra Pozza, allora!

Si mosse velocemente verso un altro di quei buchi infernali, con la leggiadria tipica delle ombre come lui

Mi rifiutai di raggiungerlo: non avevo affatto voglia di ricordare i momenti più brutti della mia vita.

Charmolùpe notò che non ero al suo fianco e si voltò indietro, facendomi un cenno per invitarmi a seguirlo, ma io scossi il capo. Probabilmente capì il perché del mio gesto (anzi, quasi sicuramente dato il suo “lavoro”), ma, come mi sarei dovuto aspettare, non reagì come mi immaginavo: allungò un braccio verso di me, rimanendo immobile, e mi afferrò il colletto del pigiama. Fui assalito da un terribile terrore.

-Se davvero credi che sia finita ti sbagli di grosso.

Mi sollevò, nonostante fossi pietrificato, come se nulla fosse, trascinandomi di peso vicino a lui mentre tentavo di aggrapparmi al terreno, invano, per sfuggire a quelle mani, a quella massa di fili e scarabocchi. Non ebbi fiato neanche per gridare.

-Eccoci qua. Visto? Non era poi così difficile.

Tenevo strette le mie ginocchia tremolanti con le mani, provando a respirare normalmente.

-Andiamo Malik! Hai 18 anni! Ti spaventi ancora per così poco?
-Sì. Mi spavento se un…coso di scarabocchi mi afferra e mi trascina!

Urlai.

-Calmo su! Concentrati sulla Pozza, piuttosto.

Guardai nella sua stessa direzione, riconoscendo l’ambientazione.

-No…Non oserai…

-Oso.

Ero alle medie, non avevo più di 12 anni.

In quel periodo, trovavo grande conforto nei fumetti dei supereroi: mi aiutavano a scappare via dalla mia solitudine e dalla mia infelicità. L’unico problema era che non tutti lo capivano.

-Ha Ha! Malik è ancora in prima elementare!
-Solo perché preferisco leggere Spiderman invece di parlare di fumo e tipe? Ma fatti una vita!
-Avete sentito lo sfigato? “Fatti una vita”!

Rispose il bulletto della mia classe, imitandomi ed iniziando a ridere come un cerebroleso.

-Quello che si deve fare una vita sei tu, Lombardi! Come puoi pensare che qualcuno voglia essere tuo amico? Sei noioso! Parli solo dei tuoi giornaletti da nerd e basta!

-Almeno io ho una passione, tu cos’hai?

-Amici, ecco cos’ho!

Mi strappò poi il fumetto dalle mani.

-Tu non hai nessuno perché fai scappare via tutti!

-Non è vero! Ridammelo!
Quel maledetto me lo buttò dalla finestra.

-Tiè! Ti ho fatto un favore: ora sei comunque noioso e pesante, ma puoi provare a migliorare!

Strinsi forte i pugni.

-Ancora mi fa rabbia quel pezzo di…

-Allora perché non hai fatto nulla? Di nuovo?

Mi morsi il labbro e chinai il capo. Charmolùpe riprese a parlare.

-Sei andato silenziosamente e ripescare il fumetto tra i cespugli, facendoti pure male e lo hai aggiustato con lo scotch da solo. Senza dirlo a, che ne so, la prof, gli amici…

Lo interruppi.

-Quali amici? Lo hai sentito, no? Non avevo amici.

-Quelli che facevano pallavolo con te chi erano?

-Tsk, figurati se ci tenevano a me! Chi poteva trovar simpatico uno sfigato come me?

-Allora ti piace proprio fare il gioco degli altri!

Intanto che prendeva il filo di lana nero dalla fronte del me di quella Pozza, continuò a parlare.

-Non c’è divertimento né interesse nel lavorare con un Sofferente che patteggia per te. Te l’ho già detto.

Mi mostrò il filo estratto dalla fronte del me dodicenne. Era molto più lungo di quello di prima.

-Vedi? Più dolore accumoli, più il filo cresce. Più il filo cresce, più divento forte. Più divento forte, più prendo controllo di te. Tu non te ne disfi o non provi a togliermelo dalle mani, come fanno altri Sofferenti, ma me lo lasci con una facilità a dir poco deludente! Fammi provare un po’ il brivido della lotta!

Sospirai facendo una piccola risata.

-Che senso avrebbe avuto?
Feci spallucce, dandogli le spalle mentre camminavo via. Sentivo i suoi occhi bianchi su di me.

-Ho provato a colmare il senso di solitudine e di vuoto fidanzandomi con Agata al liceo, ma sai anche tu come è andata a finire.

-Non sei distante da quella Pozza. Era l’ultima che volevo farti vedere.

Sbiancai, nuovamente.

-Come prego?

Anche se non mi ero voltato indietro, percepii che si stava avvicinando.

-Su, su Malik!

Mi afferrò per i capelli, costringendomi a guardare dentro l’ennesima pozza di lacrime e dolori.

-Non ti va di salutare Agata?

-Ti prego no…

-Ti prego si!

-Ma va! Ancora fissato con ‘sta storia?

-Agata, come te lo devo dire? Non è una “storia”, ma un piccolo favore che ti chiedo.

-Sei fissato, Malik! Ti crei problemi che non esistono. Ok, oggi non ti ho parlato, ma potevi cercarmi tu, no?

-Ti ho già detto perché non ti ho cercato io.

Avevo litigato pesantemente con mia madre quella mattina. Mi aveva chiamato “ingrato” ed “incapace” per la mia media altalenante, per poi passare a lamentarsi che non uscivo mai di casa e che ero troppo “tra le nuvole”, senza amici e senza una vita.

-Cosa sei? Un bambino? Sei triste perché la mamma ti ha sgridato? Ma va Malik! Hai 18 anni. Cresci un po’!

-Ma io…

-Ma io nulla. Se davvero i tuoi problemi sono un piccolo diverbio con i tuoi genitori, allora perché non vai dallo psicologo?

-Ci vado già.

-Allora sei proprio un caso perso!

Non risposi. Mi morsi il labbro e strinsi i pugni.

-Visto? Ho ragione io. Sei solo viziato.

-Basta per favore…

-Allora hai visto anche tu quanto sei imbarazzante!

Il filo che estrasse fu il più lungo.

-Hai preferito tacere piuttosto che raccontarle il tuo dolore. Patetico.

-Basta!

Gli urla contro, guardandolo con volto serio ed adirato mentre lui mi fissava. Sembrò stupito dalla mia reazione. Continuai, abbassando, di poco, il tono della voce.

-Se ti sembra una cosa facile ti sbagli di grosso. Provaci TU a dire a tua madre che non ne puoi più delle sue aspettative eccessivamente alte, delle sue grida, dei suoi insulti, della sua incapacità genitoriale quando sai benissimo che ciò ti provocherà solo altro dolore, altri sensi di colpa e starai peggio di prima. Provaci TU a parlarne ai tuoi scarsissimi amici, senza sentirti male perché non vuoi che le persone si preoccupino. Provaci TU a vivere con questa sensazione di non essere mai abbastanza per nessuno, nonostante i tuoi sforzi e le tue fatiche per riuscirci, e sentirsi, allo stesso tempo, il migliore in questa massa di ignoranti, mascherandoti da egocentrico per nascondere quanto tu sia infelice e disperato. Provaci tu a vivere la mia vita, se davvero sei così bravo! Tanto ormai io non ce l’ho più, prenditela!

Charmolùpe non mi rispose.

-Non dici nulla?

-Tu per chi mi hai preso?

La risposta mi destabilizzò.

Silenzio.

Riprese.

-Ti sembro un angelo custode, sempre che tu ci creda? Ti sembro la tua coscienza? È la prima cosa che ti ho detto! Sono la tua depressione. Io voglio il tuo male e solo il tuo male. Il tuo suicidio è una vittoria per me. Tu non sei qui perché sei mio amico o perché voglio darti una mano a migliorare. Sei qui perché così ti posso spiegare come farmi divertire di più. Te l’ho detto più e più volte.

-Ormai son morto! Chi se ne frega!

-È per questo che ti riporterò in vita.

-Come scusa?

Allungò in modo spropositato il suo collo, avvicinandosi a pochissimi centimetri dalla mia faccia.

-Per avere la lotta che voglio per vivacizzare un po’ il mio lavoro, devo fare in modo che tu mi odia.

-Ti odio già, non c’era bisogno di tutto questo.

-Che bugiardo! Neghi pure l’evidenza!

Si avvolse intorno a me come un serpente.

-Se mi avessi odiato, avresti già provato a cacciarmi anni fa. Tu mi accetti! Ti rendi conto che affronto?! Per noi depressioni non c’è cosa più odiosa di un Sofferente accondiscendente!

Avvicinò eccessivamente il suo volto di nuovo.

-Non c’è gusto poi nell’ammazzarti!

Strinse la presa e mi ritrovai bloccato da un groviglio di fili e scarabocchi.

-Lasciami!

Mi agitai, provando a liberarmi da quella presa sempre più stretta.

-Oh Malik, Io non ti lascerò mai.

I suoi occhi bianchi furono inglobati dal groviglio, i fili del suo volto crearono delle fauci terrificanti.

Vicine.

Sempre più vicine.

Urla.

Buio.

Spalancai gli occhi e respirai affannosamente. Mi guardai intorno. Sembrava una stanza d’ospedale.

-Malik! Sei sveglio! Grazie a Dio sei vivo!

Disse mia madre, seduta su una sedia vicino a me. Mi abbracciò, accarezzandomi i capelli.

-Mi hai fatto prendere un colpo! Cosa ti è saltato in mente di fare!

-Quanto…Da quanto tempo io…?

-Ti ho trovato privo di sensi sul pavimento del bagno due giorni fa! Che esperienza traumatica Gesù mio! Mai più! Mai più!

-Due giorni?! Come due giorni?!

-Sì Malik! Perché non me ne hai parlato, invece di compiere un gesto così sconsiderato?

Ripensai a Charmolùpe. Ripensai a tutto quello che mi aveva fatto ricordare. Ripensai al mio odio.

-Dirlo allo psicologo è servito poco. Anche se non andiamo sempre d’accordo, è giusto che sappia anche tu…

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