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Malta non è sempre stata dei maltesi

Tempo di lettura: 10 minuti

Di storiografi meno incompetenti che ruffiani ce n’è un pacco.
Di storie false e ruffiane ce ne sono altrettante per necessaria conseguenza (salvo qualche distrazione del ruffiano di turno).
Uno dei falsi storici più noti è la “Donazione di Costantino”, con la quale l’Imperatore avrebbe lasciato tutto il suo Impero -e relativa potestà religiosa- alla Chiesa Cattolica di Roma.
Già nel 1440 Lorenzo Valla ne dimostrò la falsità (con tutto che era credente).
L’Inquisizione gli disse: senti bello, potresti anche avere ragione, ma non è il caso. O vuoi essere rosolato anche tu come i Catari, i Valdesi e gli altri sciocchini che hanno espresso qualche dubbio?
Se la cavò grazie all’intervento del Re, ma non ebbe vita facile.

Io non sono uno storico né un filologo (Dio me ne guardi, se c’è e non ha altro da fare), ma voglio raccontare la storia di un altro falso storico, o meglio ancora: del falso di un falso.

Premetto che sono nato e cresciuto a Castelfranco Emilia, paesotto che ha ben poco di interessante se non i tortellini e le storie di corna tramandate e commentate dalle comari del luogo.
Di storico visibile ci sono rimasti alcuni ruderi del forte Urbano, qualche pezzo delle mura medioevali ritrovate durante la costruzione di un tristissimo (tutt’oggi semivuoto) falansterio, e un rimaneggiato Palazzo Piella (del quale dirò più avanti).
Ma – come disse un politico improvvisato- “è la terra che mi diede i genitali”, e come potrei non essergli in qualche modo grato, dopo averlo trascurato per molti anni?
Perciò ora vorrei riscattarne l’origine di insediamento barbarico (tra l’altro dei Galli Boi, neanche di quelli normali), poi di presidio romano su una importante via di comunicazione, quindi di mero avamposto durante le guerre comunali, poi di entità sbattuta qua e là a seconda di chi passava in armi lungo la Via Emilia, infine proditoriamente assegnato da Benito Mussolini alla Provincia di Modena, dopo che per secoli era stato bolognese.
Cosa quest’ultima che forse contribuì ad ingrossare le fila dell’antifascismo dalle mie parti.
Vorrei anche riscattarlo dall’immagine di borgo di contadini (o ex) più o meno arricchiti e sonnacchiosi qual è ora.
Sì, perché c’è stato almeno un momento nella storia in cui questi miei concittadini hanno avuto un’idea geniale: fregare l’Imperatore Carlo V e impadronirsi di Malta.

Siamo nel 1530: tutti sanno ormai che il Carlo sta andando a Bologna per essere incoronato Imperatore dal Papa Clemente VII (pare abbia detto: ve’ Clemente, io a Roma non ci vengo; vieni tu a Bologna o mando un altro po’ di lanzichenecchi a prenderti?).
Che gli piaccia o meno il Carlo deve passare per la Via Emilia, quindi anche da Castelfranco, che in mezzo fra Modena e Bologna ci sta da mo’.
Fonti affidabili dicono anche che abbia intenzione di donare ai Cavalieri di S. Giovanni l’isola di Malta e annessi.

Appena lo seppe, il Sindaco (allora non si chiamava così, ma era pressappoco l’equivalente) pensò di convocare subito il suo vice (Assessore a tutto, ma senza portafoglio) e l’Arciprete (amico intimo del Vescovo), per decidere sul da farsi.

Giangaleazzo de’ Pescarane (detto Azzo in paese, un po’ per la levatura intellettuale e un po’ per brevità) fece quindi chiamare Tommaso Tredozio (detto Tom, perché viveva nella capanna di suo zio), e Don Ferruccio da Scandicci (detto Don dai compaesani per evitare problemi, e Cicci dal Vescovo durante le udienze private).

L’incontro si tenne in gran segreto nella biblioteca comunale, uno spazio all’epoca quasi vuoto e quasi mai frequentato dal pubblico se non durante qualche inutile manifestazione giovanile, presto sciolta a suon di schiaffoni.

Azzo aprì l’incontro esponendo schiettamente la sua idea: “L’Imperatore passerà da qui, e vuole dare Malta ai Cavalieri di San Giovanni. Noi lo ospiteremo e gli faremo firmare un atto di donazione a nostro favore. Ne ho piene le palle di andare a prendere il sole sul greto del Panaro!”.

Tom disse solo: Azzo che bella idea, ma dove lo ospitiamo?
A Palazzo Piella, l’unico decente e comodo, proprio sulla Via Emilia.
E se i Piella non fossero d’accordo?
Dovrebbero spiegarlo loro all’Imperatore che deve accomodarsi all’Osteria della Corona.
Già.
Don a sua volta osservò che era proprio un’idea dell’azzo, ma forse forse….
Bando alle ciance Don: tu sei l’unico che sa leggere e scrivere, quindi prepara un testo decente.
E tu, Tom, vai da tuo zio e prendi una pergamena.
Ma se non ha neanche gli occhi per piangere!
Allora scuoialo e digli che è per un bene superiore.
Ma la pelle sarà umida.
Tiragliene via solo un po’ e mettilo lì a soffiare finché non si asciuga.
Lui?
No, la pelle, cretino.
Lo zio di Tom non fece obiezione: chiese solo che la pelle fosse asportata almeno dalle reni in giù.
Cosa che Tom fece, spiccando due chiappe e un pezzo di culo.
Molti anni dopo, avendo disquisito a lungo su quell’anomalia della pergamena, storici, filologi e proctologi (col supporto di analisi condotte con le moderne tecnologie) concordarono sul fatto che c’era anche un pezzo di culo.

Ma torniamo alla riunione.
Il Don sollevò una “quaestio logicarum pro veritate” . Eeeh? Voglio dire: va be’, posso scrivere l’atto, ma lui se ne accorgerà che è un falso, e poi qui non c’è nemmeno l’ombra di un Cavaliere di San Giovanni.
E quanto la fai lunga!, sbottò Azzo: sarà stanco e scocciato, lo faremo mangiare e bere a volontà, e quando sarà satollo e bello cotto gli faremo firmare la carta di donazione.
E come facciamo coi cinque fedelissimi del suo seguito (fetentis personae, cum possibilis et amarissimi cavolarii pro nobis)?
I soldati saranno fuori; dei Consiglieri so che un paio sono puttanieri e altri tre sull’altra sponda.
Per i primi due precettiamo la Gina, agli altri tre ci pensi tu.
…mmm…
Cosa vuol dire “mmm”, Don?
Mi chiedi un sacrificio.
Sòccia, sai che sacrificio: vuoi che chieda al Vescovo di sostituirti?
No, giammai, perché Sua Eminenza potrebbe compromettersi (ubi maior minor s’adattat). Poi è mio dovere accudire il mio gregge.
Sì, e non farmi dire altro su come ti occupi delle pecorelle.
Azzo! disse Tom.
Sì, che vuoi?
No, stavolta volevo dire perbacco, accipicchia: sei un genio.
Grazie Tom; come va la pergamena?
Lo zio sta soffiando: ce la faremo, capo.
E l’atto di concessione a che punto sta, Don?
Ho preparato una bozza: senti:
“Io, Carlo V, per Grazia di Dio Imperatore di questo e quello, Re di quell’altro ancora, Duca di vari Ducati, Barone di non so più cosa, con il presente atto, sottoscritto di mio pugno davanti a Nostro Signore Onnipotente ed agli uomini tutti, concedo ai retti, probi e coraggiosi abitanti dell’ameno borgo di Castelfranco Emilia la proprietà dell’Isola di Malta. Nulla essi mi dovranno, salvo il dono di un falcone ogni anno da ora in poi.
Firmato: Carlo V, Imperatore di questo e quello”.
E’ un po’ generico, non ti pare?
Ci sto lavorando.
Poi dove azzo troviamo un falcone tutti gli anni?
Andrà bene anche una poiana, tanto quello non se ne intende di uccelli.
A differenza di te. Be’, comunque sbrigati che il corteo è già ad Anzola .

Contro ogni ragionevole previsione andò tutto bene (al momento almeno): l’Imperatore, ben sistemato a Palazzo Piella, strafatto di tortellini, zampone e lambrusco firmò il falso atto di donazione.
I Piella -sebbene un po’ imbarazzati all’inizio- poterono vantare urbi et orbi il privilegio di aver ospitato un Imperatore, pretendere meno scalcinati nobiletti per le loro figlie, e pulzelle più rinomate per i loro rampolli (ma a furia di matrimoni improbabili o sconsiderati, loro e il loro patrimonio si estinsero in breve tempo, com’è normale per chi non considera davvero quale sia la sua fortuna).

Comunque Azzo ebbe la sua apoteosi, la Gina cambiò parere sui tedeschi, il Don fece nuove amicizie (che ingelosirono non poco il Vescovo), Tom poté riscattare la sua umile origine partecipando alla gloria, e suo zio non riuscì a sedersi per parecchio tempo, ma era abituato alle avversità.
I castelfranchesi, dapprima stupiti e increduli, poi pragmatici come sempre lo sono i contadini, stavano già prenotando vacanze al sole, fabbricando costumi da bagno integrali coi mutandoni di lana, comprando bocce per giocarci sulla spiaggia, requisendo secchi e palette ai bambini che lavoravano in campagna, ecc.
Ma “San Giovanni fa vedere gli inganni” , e un giorno si presentò davanti al Municipio un Cavaliere con un cavallo spropositato, un’armatura lucida e un elmo con tanto di cimiero, in perfetto arnese e con un uno smagliante mantello rosso.
Scese da cavallo e disse gentilmente alla segretaria: sono un Cavaliere di San Giovanni, e vorrei conferire col Sindaco.
La segretaria (poco favorita dalla natura e ignara dell’esistenza di questi Cavalieri), non sapendo bene cos’altro rispondere disse: se è per l’anagrafe deve andare al piano di sotto, e il Sindaco oggi non riceve.
Signora, disse il cavaliere con voce profonda e pacata, non devo prendere la residenza qui, anzi devo riprendermela altrove. E vorrei parlare col Sindaco, subito.
Le ho già detto che oggi il Sindaco non riceve!
Signora, so che è in ufficio, e i casi sono due: o lei mi annuncia subito, o io sbuccio lei come una banana e il suo Sindaco come il melone che è.
Signor Sindaco? C’è qui un tale Cavalieri Giovanni che vuole parlare con lei.
Chi? E’ una specie di frigorifero coi pennacchi che dice di essere qui per una questione di residenza.
Uno fatto a frigo decorato che vuole cambiare residenza?
Così pare, Signor Sindaco.
Curioso. Va be’ fallo passare.

Quando se lo vide davanti Azzo sprofondò nella poltrona (Tom di sotto, il Don dietro a Tom, che ne fu lievemente disturbato per la circostanza più che per la consuetudine).
Il Cavaliere si sedette davanti a lui composto, senza alcun cigolio dell’armatura.
Non tolse neanche l’elmo né alzò la celata.
Un breve silenzio, poi disse: “’scolta, testina di Azzo, al sèt che t’è fat ‘na bèla cazèda?”.
Lei conosce la mia lingua?
Ne conosco molte, e il tuo è un insulso dialetto che non sa di bolognese né di modenese.
Ci diamo del tu?
Io a te, ma tu non a me.
Ostia come siamo suscettibili!
Io appartengo a un Ordine Monastico e Cavalleresco secolare, eroico e glorioso, mentre tu sei solo un mangiaranocchi, quindi vedi di stare al tuo posto.
E ti va bene che sono qui perché mi hanno ordinato di convincerti possibilmente con le buone, pertanto ti conviene ascoltarmi e fare quello che ti dico.
Piccato, con quello che gli restava di amor proprio, Azzo replicò: come si permette, io sono il Sindaco!
E io ti sbuccio uguale se non ubbidisci, te e quegli altri due che stanno lì sotto.
La mano garbatamente posata dal cavaliere sull’elsa della spada convinse Azzo ad ascoltarlo benevolmente e con pazienza.
Bene: qui c’è la pergamena con l’atto di donazione. A parte gli errori grammaticali, ora tu gratti via “a Castelfranco” e scrivi “ai Cavalieri di San Giovanni”.
Ma io non so scrivere!
Però sai grattare, e puoi farlo scrivere a quel tuo Don.
Riemerge il Don.
Dissimulando l’imbarazzo e la paura, fa: …mmm…un altro tedescaccio da intrattenere?
No Don, e non fare il pistola: qui ne va della nostra pelle.
Io gratto la pergamena, tu scrivi quello che dice il Signore qui presente.
Azzo ha grattato la pergamena, Tom si è tirato su i pantaloni senza uscire da sotto la scrivania, lo Zio di Tom ha avuto un sussulto quando la grattata si è avvicinata al pezzo anomalo, il Don ha riscritto quanto doveva (lasciando anche il suo recapito su un ritaglio da visita), e il cavaliere se n’è andato.

In seguito i castelfranchesi, persa Malta, si adattarono alla riviera romagnola.
Il Sindaco non fu rieletto.
Tom ebbe un certo successo scrivendo la storia di suo zio nella capanna.
Il Don venne inviato nelle Fiandre sia per consolidare la Fede Cristiana sia come genere di conforto per le truppe imperiali.
E il Vescovo? Dovette rassegnarsi a infondere la sua grazia a una serie di imberbi novizi.
Ma pare che non sia stato poi così scontento.

In breve e per concludere: Malta non è stata sempre dei Gerosolimitani né degli attuali maltesi: per un po’, anche se truffaldinalmente, è stata dei miei (circa amati) concittadini castelfranchesi.

P.S.: Carlo V, verso la fine della sua vita, si ritirò in un monastero a meditare, e lì morì.
Non è da escludere che questa sua ritirata sia dovuta anche al fatto che qualcuno gli ha ricordato la stupidera che fece lasciando ai castelfranchesi l’isola di Malta, poi ratificando il falso di un falso.

PP.SS.: Malta ora è una Repubblica autonoma, aderente all’Unione Europea. Campa perlopiù di turismo, commercio e traffici illeciti o non proprio commendevoli, dei quali l’Ordine dei Cavalieri di Malta è partecipe (quando non sovrano).
Caro Carlo, Imperatore sulle cui terre non tramontava mai il sole: era meglio se lasciavi Malta ai castelfranchesi, perché -malgrado tutti i difetti che hanno- ne avrebbero fatto un uso migliore.