1. Ha senso solo ciò che serve, oppure no?
L- Ciao, come va?
F- Abbastanza bene. E tu come stai?
L- Bene, in questo periodo c’è un sacco di lavoro da fare! Tu invece continui a studiare filosofia?
F- Sì, ora sto riflettendo sulla Metafisica di Aristotele
L- Mah, a me proprio non interessa: non ho mai capito a cosa serva filosofare!
F- Ah, la risposta è facile: non serve proprio a nulla!!
L- E allora perché ci sprechi tanto tempo?
F- Proprio perché non serve a nulla, è inutile!
L- Ah, bella risposta da filosofo! E di che vivi? Mangiaci con la tua filosofia!
F- Ma io mica devo mangiarci con la filosofia: per mangiare serve il lavoro.
L- Appunto, vedi che bisogna fare cose che servono, e quelle che non servono non hanno senso?
F- Ma guarda che se si fanno solo cose che servono, nulla ha senso!
L- In che senso?
F- Nel senso che dici tu!
L- Ovvero?
F- Allora, vediamo che succede se si fanno solo cose che servono, ovvero che sono utili.
L- Va bene, vediamo.
2. Se tutto è utile, tutto è “inutile” e senza senso: studiare per lavorare per guadagnare…[1]
F- Diciamo che qualcosa è utile se e solo se serve a qualcosa. Potremo dire in generale che A è utile
se e solo se serve a un certo B. La scrivo così:
A è utile = serve a un certo B
Se mi permetti uso dei simboletti che mi piacciono tanto e che alle volte sono utili (accidenti questa
utilità!). Allora “A serve a B” o, che è lo stesso, “A è utile a B”[2], la riscrivo così:
A → B
L- Va bene. Però prova a essere concreto!
F- Giusto. Allora diciamo ad esempio che un coltello è utile perché serve per tagliare carne anche se
non serve per scavare la terra. In generale nessun oggetto (A) è mai assolutamente utile o inutile,
ma lo è sempre relativamente a un certo qualcosa (B)[3].
L- Sei partito molto chiaro! Però utili o inutili si dicono anche delle azioni
F- Certo, e direi soprattutto! Oggi ad esempio diciamo che studiare (A) serve per poi lavorare (B):
oggi il problema educativo è soprattutto quello di far entrare i giovani nel mondo del lavoro, mi
pare.
1 La tematica del paragrafo è analizzata anche nel saggio di Giuseppe Barzaghi in questo volume.
2 In questa terminologia un “servo inutile” risulta essere espressione problematica, su cui indaga Bennati nel presente
volume.
3 Nel suo saggio Giovanna Caselgrandi mostra ad esempio che una mappa medievale è inutile per orientarsi ma utile per
conoscere la storia del creato.L- Esempio corretto, lo accetto. Però magari c’è qualcuno che studia quando è già in pensione.
F- Sì, non nego questo: il motivo B per cui uno fa A può anch’esso relativo e variabile da persona a
persona. L’esempio dello studio è appunto solo un esempio, per quanto sia una tendenza
dominante.
L- Va bene, allora procediamo.
F- Ora, riprendendo il discorso generale. Se ha senso fare solo ciò che è utile, B deve pure essere utile
per qualcosa, per cui diciamo che B è utile a C:
A → B → C
L- Ci sta! Direi che potremmo dire che lavorare (B) serve per guadagnare.
F- Ottimo! E potremmo anche dire che, poiché studiare serve per lavorare e lavorare per guadagnare,
allora studiare serve per guadagnare ovvero: se A serve a B e B serve a C, allora A serve a C:
Se (A → B → C) allora (A → C)
L- Sì, ci sta!
F- Bene. Ora, essendo tutto utile, anche guadagnare deve servire a qualcosa.
L- Certo, non si guadagna per guadagnare, ma per poter fare ciò che si vuole.
F- Stavolta sei tu che sei vago.
L- Va bene: diciamo che guadagnare serve per mettere su una famiglia.
L- Ok: mettere su una famiglia lo potremmo indicare con D
A → B → C → D
F- Benissimo. E metter su famiglia a che serve?
L- Potremmo dire che serve a fare dei figli. Chiamalo pure E
A → B → C → D → E
F- E fare dei figli a che serve?
L- Ah adesso ho capito il tuo giochetto. Dai, se andiamo avanti così non finiamo più, non ha senso
questo discorso.
F- Appunto, non ha senso, come ti dicevo: se tutto è utile nulla ha senso. Si potrebbe quasi dire che
se tutto è utile, l’utile diventa “inutile”![4] Sono contento che ci siamo intesi. Nella nostra catena ci
metto quindi un bell’ “eccetera” alla fine e la finiamo qui:
A → B → C → D → E → ecc…
3. L’utile per l’utile non ha senso: studiare per lavorare per guadagnare per studiare
L- Aspetta, pian piano, così mi freghi: io potrei dire che invece un senso c’è, anche se tutto è utile.
F- In che senso?
L- Guarda, studiare serve per lavorare, che serve per guadagnare, che serve per avere una famiglia,
che serve per fare dei figli che poi di nuovo vanno a studiare (A) e il ciclo si chiude! Ti ho fregato
A → B → C → D → E↓
↑←←←←←←←←←
F- Ah ho capito. E ti sembra che abbia un senso?
L- A me sì, eccome!
F- Guarda che detta così, studiare serve per lavorare, ma è anche vero che lavorare serve per studiare
L- Ovvero?
F- Me lo hai detto tu prima: se A serve a B e B a C, allora A serve a C, non ricordi? Questo vale per
tutta la serie, per cui siccome mettere su famiglia serve a studiare, togli C, D, E F e ti vien fuori
che studiare serve per lavorare (A → B) e lavorare serve per studiare (B → A):
A → B ↓
↑←←←
4. L’utile per il sempre più utile non ha senso: lavorare per guadagnare sempre di più [5]
L- Ah, cavolo è vero. Però, un momento! E se io ti dicessi che studiare serve per lavorare e lavorare
serve per guadagnare (C) sempre di più e basta? Lo indico così:
A → B → C+
F- Eh, purtroppo non basta: è quel “sempre più” che ti rovina?
L- E perché?
F- Perché se vuoi guadagnare sempre di più, una volta che hai guadagnato di più, poi devi tornare a
lavorare di più per guadagnare ancora di più, e così via senza una fine. In fondo, è un po’ come
chi studia (A) per fare l’imprenditore (B) per fare sempre più utili (C), che poi reinveste
nell’impresa, e lavora sempre di più per crescere sempre di più: vedi, la situazione non è molto
diversa da prima
A → B → C+ ↓
↑ ←←←
L- Mi sa che hai ragione, anche questo non ha un gran senso…
5. L’inutile è libero, gratuito e dà senso all’utile
F- Appunto. Per questo serve qualcosa che non serve.
L- Dici? A me non sembra proprio.
F- E allora proviamo a capire meglio la questione. Se usiamo i nostri bei simboli, basta mettere alla
fine della catena di ciò che serve un qualcosa che non serve, che quindi è un fine ed è libero, ovvero
A → B → C → D → E → … → Z
L- Ah mi vuoi dire che Z non serve, ovvero non è utile, per cui è un fine (perché è alla fine della
catena) ed è libero (perché non serve nessuno)?
F- Esatto. E guarda bene: solo se Z non serve, tutto ciò che è utile ha un senso ovvero ha una direzione,
che è Z stesso. Così l’inutile è necessario per dare un senso all’utile![6]
L- Accidenti è vero!
F- Certo che ci sta. E poi guarda ancora: se Z non lo si fa per altro, ovvero non lo si fa per avere un
profitto (se no servirebbe al profitto), si può dire che lo si fa gratuitamente. Che paradosso: solo il
gratuito dà senso al profittevole.[7]
L- Mmmmm, mi sembra che ci stia anche questo. Però c’è un problema!
6. L’inutile fine a sé stesso
F- Ovvero
L- Z potrebbe avere un freccetta che punta direttamente su sé stesso, e quindi servire a qualcosa:
A → B → C → D → E → … → Z
Mi sa che ti ho fregato!
F- Ma no, anzi condivido quello che dici: abbiamo fatto un passo avanti. In questo modo Z è infatti
un fine, ma serve a sé stesso, per cui è fine a sé stesso, e quindi resta ancor più libero e gratuito!
L- Ma che vuol dire poi “fine a sé stesso”?
F- Si potrebbe dire che qualcosa è fine a sé stesso se, mentre lo fai, è talmente bello farlo che non
desideri altro che farlo ancora.
L- Mamma mia, che confusione ho in testa.
F- Ma no, guarda che è tutto molto chiaro. Proviamo a riassumere quanto detto in modo schematico:
1) Qualcosa è utile se serve a qualcos’altro. Ad esempio A è utile perché serve a B. Se però tutto
è utile, allora l’utile non ha senso e in questo senso può dirsi “inutile”.
2) Qualcosa è inutile se non serve a qualcos’altro, per cui è libero, gratuito ed è fine. È il caso di
Z, che può:
– non servire a sé stesso: è Z senza freccetta dopo;
– servire a sé stesso: è Z con la freccetta su di sé. Questo è l’inutile in senso pieno.
L- D’accordo, in effetti è uno schemino chiaro. Però resta un discorso troppo astratto, slegato dalla
vita concreta. Z proprio non capisco cosa possa essere!
7. L’inutile non fine a sé stesso: spostarsi [8]
F- Qui hai ragione: bisogna provare fare degli esempi concreti, come dici tu, perché solo così si
capiscono davvero le cose. Quindi, se mi permetti, ti chiedo alcune cose per provare a trovare il
nostro “Z” e vediamo che succede. Allora, nella vita si fanno cose più volentieri di altre, giusto?
L- Giusto.
F- Allora dimmi un’attività che fai volentieri.
L- Beh ti spiazzo subito. A me il mio lavoro piace e quindi lo faccio volentieri
F- Ottimo! E perché dovresti spiazzarmi, mica è male lavorare. Però ti faccio una domanda semplice:
tu lavoreresti senza guadagnare nulla?
L- Ma che discorso, certo che no! Te l’ho detto prima che lavoro per guadagnare.
F- E allora il lavoro non può esser Z.
L- Ah giusto, il lavoro serve per guadagnare, te lo avevo concesso prima. Comunque, ora che ci
penso, mi sa che Z sia una gran cavolata, perché cosi qualsiasi cosa fatta tanto per farla, solo perché
ci va di sprecare dell’energia e senza scopo ulteriore, può essere Z. Ad esempio, ora io alzo la
gamba e faccio un passo in avanti.
F- E perché lo fai?
L- Così, perché mi va, non c’è un perché, non serve a nulla e quindi è sono gesti completamente
inutili, un vero spreco [9] e dispendio di tempo e energia!
F- Molto, molto bene. Sì, l’inutile può avere anche questo aspetto: essere un puro dispendio, un gesto
“gratuito” (in senso negativo) che non dice né produce nulla di significativo. Il tuo spostarti è
proprio così.
L. Potremmo quindi dire che è fine a sé stesso.
F- Eh, no!
L- E perché?
F- Non mi dire che mentre ti sposti non desideri altro che spostarti! Se così fosse continueresti a
spostarti, in uno spostamento senza fine, come è il lavoro per lo studio… e la crescita per la
crescita?
L- No, in effetti mi sposto solo perché mi va, non per il gusto di spostarsi.
F- Ma abbiamo detto che fine a sé stessa è quell’azione che mentre lo fai non desideri altro che
continuare a farla.
L- È vero, devo darti ragione. Però in italiano “fine a se stesso” significa proprio un qualcosa fatto
senza ulteriore motivazione…
F- È vero, però se ci rifletti vedi che sono cose ben diverse. Guarda sopra: il tuo spostarsi è come Z
senza freccia su di sé, mentre una cosa che è inutile ed è anche fine a sé stessa è Z con la freccia
su di sé.
L- Ah, ora ho capito a cosa ti riferivi. Però ancora questo inutile fine a sé stesso resta ancora una
parola vuota.
8. Inutilità e piacere: bere l’Amarone
F- E allora proviamo con altri esempi. Dimmi un’altra cosa che fai volentieri.
L- Bere un buon bicchiere di vino, diciamo un calice di Amarone.
F- Ottima scelta! Ora, siccome l’Amarone è un vino rosso, presumo sia ottimo con la carne
L- Sì.
F- Quindi potremmo dire che per gustartelo appieno, tu organizzi un pasto in cui il primo e il secondo
servono a farti gustare meglio quel vino, per cui il bere un calice di Amarone è il fine del pasto.
L- Sì, e quindi abbiamo finito: bere è fine a sé stesso perché mentre bevi provi grande soddisfazione.
Si può quasi dire che si beve per bere.
F- Hai detto bene: “quasi”.
L- Ovvero?
F- Scusa ma lo hai detto tu che bere l’Amarone ti piace.
L- Certo!
F- Ma allora bere l’Amarone serve per provare il piacere di bere l’Amarone, per cui serve a qualcosa,
e quindi non è Z.
L- Ah vabbè sei molto sottile, ma se quel piacere lo provi proprio mentre bevi, le due cose coincidono.
F- No, non coincidono
L- E perché?
F- È semplice. Se tu perdessi il senso del gusto, bere l’Amarone lo riterresti tanto meglio che bere
dell’acqua?
L- Certo che no, direi anzi il contrario, visto il costo dell’Amarone rispetto all’acqua!
F- E quindi bere un bicchiere d’Amarone senza il piacere che produce col suo gusto, sono cose
diverse. Per cui l’Amarone lo bevi volentieri solo perché serve a provarne il suo piacevolissimo
gusto particolare.
L- Accidenti, hai ragione. Quindi nemmeno il bere l’Amarone è un inutile fine a sé stesso, perché
serve a provare un particolare piacere. Proviamo allora con un altro caso.
F- Va bene, ma guarda che con l’Amarone ci siamo molto avvicinati al Z fine a sé stesso.
L- Dici?
9. Inutilità e felicità: parlare con gli amici
F- Sì, perché in fondo usare le posate (A) per mangiare della buona carne (B) bevendo del buon vino
(C), di solito serve a trascorrere una bella serata a chiacchierare con gli amici, giusto?
L- Sì, certo.
F- E allora forse il parlare con gli amici è il nostro Z fine a sé stesso:
A → B → C → Z <–> Z
L- Dici? Secondo me no.
F- E perché?
L- Perché si può dire che il parlare con gli amici serve per provare il piacere di parlare con gli amici,
proprio come il lavoro serve per il guadagno e bere il vino serve per provare piacere del vino. Per
cui l’inutile parlare con gli amici è utile per provare piacere: una bella contraddizione!10
F- Guarda che non è così!
L- Ovvero, che vuoi dire?
F- Voglio dire che è vero che parlare con gli amici ha un aspetto di piacere perché porta sempre con
sé una dimensione piacevole; però non serve per provare quel piacere.
L- Alt! Perché dici “sempre”? Io potrei passare una sera chiacchierando con gli amici annoiandomi a
morte!
F- Guarda, allora non sono dei veri amici!
L- Va bene, te lo concedo. Allora ammettiamo che parlare con gli amici produca quel piacere di stare
con gli amici il quale non si può avere se non si sta con gli amici. Però il fine a sé stesso mica lo
vedo ancora.
F- Eppure c’è! Infatti non è forse vero che mentre stai con gli amici, ci stai talmente bene che non
vuoi altro che stare con gli amici?
L- Certo!
F- E dunque lo stesso stare con gli amici è il fine del tuo agire, che è appunto stare con gli amici, per cui è fine a sé stesso. L’agire in alcuni casi è esso stesso il fine dell’agire, è il fine stesso: e in
questi casi si è felici.
L- E che c’entra la felicità?
F- C’entra eccome. La felicità è raggiungere il fine, e se il fine è un agire fine a sé stesso, allora
mentre compi questa azione vuoi come fine compiere questa azione: fare quell’azione si identifica
col raggiungere il fine di quell’azione, per cui farla è raggiungere il fine, che è appunto la felicità.
L- Ah quindi quello stare con gli amici che non ha altro fine, è fine a sé stesso e mentre ci stai
raggiungi il fine e quindi sei felice.
F- Esatto!
L- Va bene, però questo è anche piacevole: l’abbiamo detto sopra.
F- Certo, ci mancherebbe.
L- E quindi potrei dire che se non ci fosse quel piacere, non riterrei più così bello parlare con gli
amici. Se, ad esempio, fossi sordo, mi annoierei, così come non mi piacerebbe bere dell’Amarone
senza gusto.
F- Ma scusa, se sei sordo mica parli con gli amici né con nessuno: parlare implica dire e ascoltare.
L- Accidenti, hai ragione.
F. Quindi ridiciamo tutto in fila: parlare con gli amici ti fa essere felice e ti piace. E quando parli con
gli amici, siccome mentre lo fai sei felice, non vuoi altro (se no non saresti felice) e quindi desideri
che dopo il parlare con gli amici ci fosse ancora il parlare con gli amici. Il felice e piacevole parlare
con gli amici non serve ad altro che a sé stesso per cui è inutile, fine a sé stesso, gratuito e libero!
L- Accidenti, che crampi alla testa? Non potresti spiegarmelo meglio con un disegnino, che mi era
piaciuto.
F- Ok, provo a fare un altro schema usando uno Z verde che ho ottenuto da uno Z blu aggiungendoci
del giallo:
Z = Z + O (giallo)
Vedi, il parlare con gli amici è Z verde, perché è un’attività particolare (Z blu) la quale porta
sempre con sé il piacere conseguente (il giallo), così come il verde ha sempre in sé il blu e il giallo,
altrimenti non sarebbe verde.
L- Va bene, però io potrei parlare con gli amici solo perché questo mi serve, è utile, a provare piacere:
insomma a me interessa il giallo!
F- Ma non ti accorgi che se fai così distruggi questa attività? Il giallo separato da Z verde rende Z
non verde e da solo e non è nemmeno un’attività (non è una lettera). Invece il parlare con gli amici
(Z verde), se praticato per sé stesso è un’esperienza non scomponibile che ha sempre con sé quel
piacere che non potresti ottenere se mirassi solo a quello, ovvero al giallo. Insomma il piacere (il
giallo) di parlare con gli amici lo provi solo parlando con gli amici (Z verde). E che Z verde sia un
fine a sé stesso lo possiamo raffigurare nel solito modo, mettendolo alla fine di una catena di azioni
(gustarsi primi, secondi e vino), e affiancandogli una freccia su sé stesso:
A → B → C → Z(verde)
10. Conclusione: La montagna e la filosofia
L- Oh, sai che mi pare di capire? Provo a riassumere tutto. Intanto diciamo che:
– fine è ciò che è per sé e quindi non è per altro, ovvero non serve un altro da sé.
– utile è qualcosa che serve a qualcosa di diverso da sé. Per cui si dirà che A è utile per (o inutile
per) B a seconda dei casi (un coltello è utile per tagliare e inutile per scavare: par.2).
– inoltre diremo che qualcosa ha un fine se è in una serie di cose utili che termina a un fine (vedi
sotto 2.1). Così abbiamo che:1- Inutile in senso pieno è ciò che è fine a se stesso (è per sé stesso), come lo stare con gli amici
per lo stare con gli amici (par. 6). Questo inutile soddisfa, è libero, rende felici (par. 5) e risulta
piacevole (par. 8): è Z verde con la freccia su di sé.
2- Poi ci sono cose o azioni che non sono fini a sé stesse e queste possono:
2.1. Non essere un fine e avere un fine a sé stesso (inutile in senso pieno:1): è una cosa utile in
senso pieno, come usare un coltello per mangiare carne per bere del buon vino per stare con
gli amici. Solo questo utile ha senso (par. 9)
2.2. Non essere un fine e non avere un fine inutile in senso pieno. È l’utile senza senso e si
hanno tre casi:
a- una serie di cose utili senza fine: lo studio per il lavoro, per il guadagno ecc… (par 2)
b- una serie di cose utile che si chiude su se stessa: studiare per lavorare per guadagnare
(sempre più) per lavorare (par 3-4)
c- Una serie che ha un fine non a se stesso (spreco): alzare la gamba per spostarsi (par.7).
2.3. Essere un fine, ma non a se stesso: è l’inutile senza senso inteso come spreco: ad esempio
lo spostarsi.[11]
F- Accidenti, complimenti, non avrei saputo dire meglio!
L- Però ho ancora un dubbio: Questo discorso sull’inutile come fine a se stesso non vale solo per lo
stare con gli amici. Anche pianificare un viaggio in montagna può servire a un inutile fine a sé
stesso.
F- Ovvero?
L- Ad esempio, da casa mia in montagna apparecchio la tavola (A) per mangiare una bella colazione
(B) e avere energie per scalare fino al Monte Cimone (C) e vedere così lo splendido il panorama
(Z in verde): vedere il panorama respirando l’aria di montagna (Z verde) è un’esperienza piacevole
(il giallo che rende verde Z blu) e viceversa questo piacere lo provi solo in quel modo. Inoltre
vedere questo panorama mi rende felice e mi piace allo stesso tempo. Per questo non vorrei che
finisse mai: quindi non serve ad altro che a sé stesso per cui è fine a sé stesso.
F- Ottimo! Benvenuto nel mondo della filosofia!
L- E che c’entra la filosofia.
F- Ma vedi, ci possono essere molte azioni che se fatte in quel modo che descrivi sono fine a sé stesse:
guardare un bel paesaggio, vedere un’opera d’arte, leggere un racconto o una poesia[12], giocare a
un coinvolgente gioco [13], e anche… filosofare!
L- In che senso?
F- Vedi, la filosofia ha esattamente questa struttura: si comprano libri (così come si preparano cibi)
per leggerli (cosi come si scala) e quindi studiarli facendosi degli appunti (C) perché questo serve
proprio per capire (Z verde) qualcosa di bello che fa un gran piacere (il giallo in Z in blu) al cuore
e alla mente che si può provare solo filosofando e che tanto ti soddisfa che mentre lo fai non
vorresti altro che farlo. Per questo, come ti dicevo all’inizio, il filosofare così come lo stare con
gli amici o il vedere una cosa bella, non serve, è inutile è fine a sé stesso, libero e gratuito.
L- Ah adesso ho capito dove volevi arrivare! Va bene, sei stato bravo; però resta il fatto che tutto
questo discorso, anche se mi è piaciuto, non serve proprio a nulla.
F- Perfetto: era proprio quello che stavamo cercando!
Note:
[1] La tematica del paragrafo è analizzata anche nel saggio di Giuseppe Barzaghi in questo volume.
[2] In questa terminologia un “servo inutile” risulta essere espressione problematica, su cui indaga Bennati nel presente volume.
[3] Nel suo saggio Giovanna Caselgrandi mostra ad esempio che una mappa medievale è inutile per orientarsi ma utile per conoscere la storia del creato.
[4] È questa la tipica “sensazione di inutilità di ogni azione; [perché] le cose più importanti si svolgono altrove” (cfr.
Herzog,2018).
[5] Sul tema si veda anche l’articolo di Giovanni Cavazzuti in questo volume.
[6] Cfr. Caponera 2017, p. 72 sgg. In questo saggio l’autore distingue il dono-spreco di Bataille dal dono-inutile: tuttavia a mio avviso non focalizza adeguatamente quanto il “vero” inutile sia fine a sé stesso (cfr. supra).
[7] Sulla portata economicamente anti-utilitaristica dell’inutile si veda Luffarelli 2020. In questo senso sul piano religioso, si può dire che il sacrificio di Cristo sulla Croce è sommamente inutile, in quanto fatto senza nessun tornaconto: cfr. Ruggieri – Orfei– Stame – Piana 1982 pp. 9-43; Prestini 2021, p. 28 (poesia intitolata “Inutile”).
[8] Come esempio di questo tipo di inutilità si potrebbe citare anche la ghiandola pineale e il comportamento di Bartleby lo scrivano, esaminati rispettivamente da Enrico Ghidoni e Andrea Piras in questo volume.
[9] Sull’inutile inteso come spreco e dispendio si legga la profonda riflessione di Bataille contenuta in: Bataille 2015 e 2000. L’inutile-spreco si avvicina al concetto di lusso (Bataille 2015, p. 65) che Paquot identifica l’esperienza utile che produce qualcosa di inutile (cfr. Paquot 2017 in particolare il finale del capitolo “Utilità dell’inutile”).
[10] Proporre l’inutile perché produce cose utili è tradire profondamente il senso dell’inutilità e esporsi a una palese
contraddizione. Su questo errore si legga il pur interessante saggio di Abraham Flexer “L’inutilità del sapere inutile”
(contenuto in Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile: Manifesto, Bompiani, Edizione del Kindle, 2013 (traduzione italiana
rivista e accresciuta di L’utilité de l’inutile, Paris, Les Belles Lettres, 2013), pp. 231-261, in cui si vuol dimostrare il
valore delle discipline inutili in base alle cose utili che hanno prodotto.
[11] Questa impostazione ricalca distinzioni già presenti nella prospettiva aristotelico-tomista [Aristotele, Metafisica, libro IX c. 6; Etica Nic. Lib. I c. 1, 1094 a 1-5; cfr. Tommaso d’Aquino, In I Ethic., lect. i n. 13; In IX Metaph. lect. viii n. 1862-5.] secondo
la quale le azioni venivano qualificate come:
1) Perfette (= “attività”): sono quelle azioni che sono anche fini per cui hanno come fine sé stesse, e dunque per queste non si può parlare di un termine di arresto, ma nello stesso tempo in cui si agisce, si patisce: “nello stesso tempo uno vede [agire] e ha visto [patire], pensa e ha pensato, [capisce e ha capito], vive e ha vissuto” (Ibid.). Ecco perchè Aristotele poteva affermare che nel primo motore immobile, che è pensiero di pensiero, vi è attività senza moto [Et. Nic. VII, c. 14 1154b 27). Da notare che anche la felicità o “beatitudo” è un’attività, ovvero ha come fine sé stessa: “La felicità è dunque un’attività dell’anima conforme a una virtù perfetta” [Et. Nic. c. 13]; “la beatitudine dell’uomo è un’operazione. La beatitudine è infatti l’ultima perfezione dell’uomo [… ] e l’operazione è l’ultimo atto dell’operante; per questo è nominato ‘atto secondo’ ” [Tommaso d’Aquino, S. Th. I-II q. 3 a. 2]).
2) Imperfette (= “movimenti”): sono le azioni che non sono fini:
2.1) alcune hanno un fine e quindi c’è un termine (= fine) esterno all’azione, raggiunto il quale l’azione cessa. Ne
sono classici esempi il costruire, l’andare, il dimagrire, l’imparare e il guarire. Infatti non è nelle stesso tempo
che si guarisce e si è guariti, si va e si è andati si impara e si ha imparato (Cfr. Metaf. IX c. 6 1048b 24 sgg.). Da
notare che l’ “apprendere”, pur essendo un agire e non un produrre, è nondimeno un’azione imperfetta).
2.2) altre non hanno un fine verso il quale si muovono: ad esempio il desiderio del piacere (Et. Nic. III c. 12),
l’acquisizione infinita del denaro (Politica I c. 9), a cui si potrebbe aggiungere lo studio per il lavoro per…
[par. 2], lo studio per il lavoro per lo studio [par. 3] o lo studio per la crescita… [par.4].
L’inutile come spreco (2.3), ovvero come non fine a sé stesso e azione senza senso non sembra rientrare in queste
distinzioni.
[12] Sull’inutilità nella letteratura si veda il saggio di Silvia Corradini nel presente volume.
un coinvolgente gioco13, e anche… filosofare!
[13] Sul delicato tema del gioco come attività inutile si legga il paragrafo 7 del Saggio di Cerrigone qui pubblicato