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Circa 568 anni fa, i miei antenati abbandonarono il loro mondo di provenienza. Lasciarono le loro famiglie e le loro città, disgustati dalla insensatezza della propria esistenza e da quel mondo che li aveva traditi, costretti ad esistenze grigie e uguali.
Rinnegarono i vestiti indossati alla partenza e ne cucirono di più comodi, rinnegarono i loro nomi e se ne diedero di nuovi, rinnegarono la loro cultura e ne costruirono una diversa, rinnegarono interamente il loro vecchio mondo nelle sue bassezze e nelle sue bellezze e partirono. Volevano creare qualcosa di nuovo, di profondo, di vero, che potesse appartenere a loro e ai loro figli, qualcosa di proprio, di unico.
Attraversarono i boschi umidi e i loro tappeti di foglie fredde, le pianure sotto il sole cocente, scalarono le montagne gelide e i loro picchi appuntiti, affondarono i piedi nei deserti secchi, fino a giungere in una radura. Appena la osservarono si dissero: “Ecco, questa la chiameremo casa”. Era il primo giorno del primo anno del Tempo Ordinario, il primo giorno della storia della mia città.
In tanti partirono, ma molti fuggirono durante il viaggio e li lasciarono soli. Alla fine erano rimasti in 42, 21 uomini e 21 donne. Questi 42, che erano i miei antenati, edificarono le loro case e si chiamarono “Fondatori”, mentre coloro che si dispersero nelle terre attorno, discendente di coloro che li avevano abbandonati, vennero chiamati “Vigliacchi” perché venisse ricordato il loro tradimento. Non volendo unirsi con loro, si sposarono tra loro creando 21 coppie e ciascuna coppia ebbe 2 figli, un maschio e una femmina, per un totale di 84. Comprendendo come fosse necessario difendere la loro città appena fondata, questi 84 primi cittadini si diedero una serie di leggi dette Leggi dei Fondatori perché servissero per il loro vivere comune e così ai loro figli fino alla fine dei tempi. Questi 21 nuclei famigliari, uno per ciascuna coppia, si diedero i seguenti nomi: Vitavi, Leonigidi, Scutari, Aghifori, Aleani, Soli, Celederi, Cuneidardi, Invitti, Rivari, Loquali, Traini, Ridni, Eolani, Aquini, Ubimai, Ruati, Furori, Liberani, Rebelli, Zirconi.
Si dice che, una volta riunitisi tutti e 84, affermarono: “Rendiamo questo posto una grande città per noi e i nostri discendenti. Diverrà il luogo dove creeremo una società vera, non nata dal caso come quella dei nostri generatori, ma una che sarà basata sul merito e l’autorealizzazione, sull’unicità dei suoi figli e sulla loro irripetibile genialità, sulla libertà dell’autodeterminazione, contro la massificazione e la reificazione della vita che abbiamo vissuto dove eravamo liberi solo a parole, ma schiavi nei fatti. Creeremo delle leggi e un governo che ci aiuti a coordinarci e difenderci da chiunque voglia la nostra morte. Sia questo eterno nei secoli”.
Fu così che i Fondatori e i loro figli, con il tempo, modificarono ed ampliarono le loro case, ognuno come voleva, collegandole con delle passerelle. Si divisero i lavori indispensabili: chi lavorava la terra la rendeva ricca, chi voleva amministrare le ricchezze lo fece con rettitudine e così per altri lavori. Poi, ciascuno scelse un compito che gli piacesse: chi voleva fare sport, ne inventò e praticò di nuovi, chi voleva curare i giardini, ne creò di mai visti e così per altri compiti. Così si divisero la giornata, metà un lavoro e metà un compito. Così venne alla luce la mia città, Gothra.
O almeno, così mi hanno detto.
Io sono nato qui, molto tempo dopo, e non so se questo sia vero o falso. Anzi, mi chiedo perché lo stia scrivendo. Non lo so, non avevo niente da dire d’altronde. Questa storia me l’hanno insegnata quando studiavo nella Biblioteca, ma non è che abbia avuto chissà che occasioni di approfondire i fatti.
Tutto sommato penso che vada bene così. Sì, credo che vada bene così. Serviva un inizio, no? Quale migliore inizio che l’inizio di tutto? Della mia città, di Gothra. Anche perché non c’è un vero inizio per spiegarti quello che voglio. Inoltre, non so nemmeno chi tu sia. Magari una piccola visione di insieme potrebbe esserti utile, per presentarci.
Sai, oggi è il Giorno della Luce, quando il sole è al massimo della sua estensione. Il grano e soprattutto il riso crescono copiosi e sembra che la pioggia abbia aiutato i vitigni a rinvigorirsi e il primo vino sarà buono. Abbiamo appena cominciato a godere dei frutti della terra, dalle ciliegie alle pesche, aprendo i cilindri di vino giovane rimasto dall’anno scorso, mangiando il pesce più bianco del latte. E poi feste, tante feste, una dietro l’altra, in case spettacolari, arredate a nuovo con fiori e soprammobili, decorate di motivi magnifici che ricalcano i ghirigori della natura e della stagione. Il tutto condito da una tonnellata di chiacchiere sul più e sul meno, sui dettagli piccanti della gente e altre leggerezze.
Cosa voglio spiegarti? Non saprei … Non partiamo bene, me ne rendo conto, ma … sentivo il bisogno, sentivo la voglia di farlo, di scrivere qualcosa. Perché tutto questo, in una festività così sontuosa … è vuoto, vuoto come un vaso spezzato, vuoto e basta. Mai come ora ho sentito che dovevo, dovevo scrivere. Ho avuto modo così di riflettere negli ultimi periodi. Su molte cose devo dire: la vita, la felicità. Cose leggere, insomma.
Sai, io ho una bella casa con molti servi, una magnifica abitazione in cui crescono belle piante e degli aranci succosi. Rappresento una delle famiglie più importanti, gli Aghifori, grazie a cui ho assegnato dalla nascita delle terre sufficienti al mio sostentamento e anche ad un buon profitto. Ho le vesti migliori, i cibi migliori … ma sento che non sto bene. So che per te è incomprensibile e, anzi, dovrei essere una persona felice di tutto questa ricchezza. Faccio ciò che voglio la metà del mio giorno, l’altra metà lavoro secondo il ruolo che mi sono scelto. Appartengo poi a quella serie di persone, quella classe, che comanda Gothra dalla sua fondazione. Sono figlio dei Fondatori e portatore della loro eredità.
Ho tutto ciò che si possa desiderare … e lo vorrei bruciare.
Sento una vuotezza infinita nelle cose che mi circondano. Non sembra che abbiano il minimo senso, anche solo in apparenza. Nessuno quando vede le cose che indosso mi chiede “Che significa?”, né quando vede i miei capelli legati in una certa maniera “Cosa simboleggia?” ma solo “Dove l’hai comprato?” e “E’ davvero alla moda!”.
Forse è solo una mia impressione, ma il messaggio dei miei antenati è stato tradito. Si voleva svincolare le persone dalla società per liberarne il potenziale, ma ci si è fermati a quello che si percepisce nei sensi. Anche se, è innegabile, nessuno può sfuggire all’apparenza e certamente sceglierla con o senza un motivo è comunque una affermazione di individualità.
Ecco, almeno posso dirti con certezza che scrivo per questo: chiarire i miei dubbi, le mie ansie e capire il mondo che mi circonda, apprezzarlo o odiandolo se necessario. A te può sembrare una cosa sdolcinata, inutilmente deprimente e avresti ragione da vendere, ma sento che è questo quello che voglio. Non tutti i giorni, certo, non sempre. Una volta ogni tanto, quando mi va, non perché sono obbligato, ma perché lo desidero. Voglio farlo, lo desidero, almeno per completare finalmente qualcosa di sensato ed eterno nella mia vita, quanto meno per perdermi nei miei pensieri e non sentire il rumore del mondo che mi si torce attorno. Per un attimo mi voglio ricordare di esistere.
Tutto questo avveniva in Gothra il giorno 51 del Periodo del Sole, anno 568 del Tempo Ordinario.