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Ho visto 2 gazze questa mattina.
Sono comparse così, su un albero fuori dalla finestra. Nere e scintillanti.
Mi trovavo nel Gran Tribunale e stavo lavorando a delle leggi sulla viabilità. Più precisamente, ero in una delle stanze in alto, quelle per gli apprendisti, più o meno all’altezza dei tetti delle altre case. Il motivo è semplice: sono quelle più calde. Siamo sinceri, quale giudicatore si va a mettere in una stanza calda? Sia mai! Lasciamole agli apprendisti che se va bene se ne vanno e se va male si bollono la lingua e almeno non potranno lamentarsi in futuro!
Comunque, c’era caldo, caldo da morire. Me ne stavo circondato da centinaia di rotoli in via di approvazione e almeno centinaia di copie di giudizi pronunciati già a riguardo di altre Leggi Esecutiva, figlie della stessa Legge Applicativa. Un lavoro noioso, tremendamente noiso! Carta su carta, pile su pile di scritti.
Ad un certo punto ho smesso perché proprio non ce la facevo più. Un lavoro così inutile, così noioso … Mi sono alzato in piedi e ho cominciato a girare nervosamente. A destra a sinistra. Sembravo un turbine di vento, tanto che mi è venuto un mal di testa lancinante quasi subito e ho cominciato a sudare terribilmente. Così, ho chiesto all’intendente se potesse portarmi qualche fetta di limone e qualche chicco di melograno (sì, ero così stanco da essermi scordato che i melograni sono ancora in fiore), ma soprattutto acqua, tanta acqua, fredda come la neve. Dovevo sembrare davvero stravolto, perché mi è arrivata una caraffa con mezza ghiacciaia tritata dentro. Meglio così, la parte in eccesso l’ho messa dentro un panno e l’ho avvolto attorno alla nuca; te lo consiglio, funziona molto bene.
Mentre stavo aspettando il mio rinfresco, ho sentito un gracidare, una risata prolungata, seguita da un singhiozzo e poi un’altra risata. Sembravano due strumenti a fiato suonati da una rana e da un cagnolino. Mi sono così sporto dalla finestra e me le sono viste, le due gazze, a non più di 10 braccia di distanza, a penzolare da un albero di limone che sporgeva sulla strada. Se ne stavano lì, saltando da un ramo all’altro, il becco e il viso nero incappucciato, i petto tondo e bianco, la coda blu allungata che si apre e chiude a raggiera. Saltano, di ramo in ramo, studiando come due bambini appena incontrati, il piumaggio che li faceva risaltare. Hanno preso il volo all’improvviso, una dietro all’altra, volando sulla testa della gente che camminava veloce sotto di loro, sotto di me.
E’ stato un attimo e via così, il mio lavoro è tornato a occupare la mia mente.
Devo dire la verità, ho sperato per tutto il giorno che tornassero, che mi distrassero di nuovo ma niente. Non sono tornate.
Mi ricordo che i nostri poeti, quando devono recitare i loro canti durante le cene, usano gli animali secondo un codice. Non l’ho mai capito fino in fondo, ma sembra che le gazze siano degli uccelli benauguranti, di prossima ricchezza. Chissà.
Alla fine non c’è nessuna prova, ma non è detto che non ce ne siano nascoste da qualche parte. Alle volte siamo così tracotanti nelle nostre conoscenze che ci scordiamo di essere dei sacchetti di carne con qualche osso balestrati nell’infinito. Quanto mai potremmo sapere?
Poco.
A metà tra quanto basta per sopravvivere e un po’ meno di quanto ci impedisce di sognare.
Tutto questo avveniva in Gothra il giorno 59 del Periodo del Sole, anno 568 del Tempo Ordinario.