L’importanza della società
Perché la vita non è qualcosa che possiamo gestire da soli?
Vorrei partire da questa domanda. Un filosofo greco nato nel 384 a.C. e morto nel 322 a.C., si chiamava Aristotele, in un’opera dedicata all’amministrazione della polis ha scritto “L’uomo è un animale sociale”. Ma è davvero così importante stare insieme ai nostri simili? Leon Festinger, psicologo e sociologo statunitense, deceduto nel 1989, spiegava che l’uomo sta a contatto con i suoi simili in quanto questo sistema gli permette di avere un metro di misura che lo aiuta a verificare le proprie opinioni e competenze. Ma stare con gli altri non è riducibile al semplice metro di misura per la nostra vita, perché con gli altri stringiamo relazioni, amicizie, magari costruiamo insieme la nostra stessa vita. Lo stare insieme ad altri, quindi, implica sentimenti, emozioni, desideri, progetti, speranze, gioie, e poi certamente anche delusioni, rabbie…
Perché stare insieme? Banalmente si potrebbe dire perché stando da soli diventa impossibile amare, e amare è l’unica grande e vera occasione che abbiamo per essere pienamente felici. La Chiesa lo predica da 2000 anni, o almeno ci prova. Gesù ha fondato un gruppo di 12 apostoli e chi erano? Erano dodici uomini provenienti da contesti incredibilmente diversi, eppure destinati a diventare amici. Lo stesso termine “Chiesa” significa “riunione di fedeli”. La felicità non è raggiungibile restando nella propria solitudine, bisogna aprirsi, consegnarsi, donarsi. Questo è l’amore: apertura, consegna, dono.
Significato di “vocazione”
Cosa significa vocazione? Letteralmente significa “chiamata, chiamare”. Qual è la pedagogia che Gesù utilizza con i suoi discepoli? È una pedagogia che ha in sé sempre due verbi: chiamare, inviare. Cosa significa “apostolo”? Significa “inviato”. Gesù chiama, mette nel cuore la vocazione, e poi ti fa diventare apostolo, cioè ti invia. La vocazione però non è qualcosa che partoriamo noi, perché se la vocazione, come detto, è una chiamata, non può venire dalla nostra coscienza, dalla nostra mente o dalla nostra volontà. La vocazione è una chiamata.
Le tre vocazioni
Dico sempre che esistono tre tipi di vocazione: la vocazione “comune”, la vocazione “particolare” e la vocazione “nella vocazione”. La vocazione comune a tutti i cristiani si chiama santità. Tutti i cristiani sono chiamati a diventare Santi. La santità non è qualcosa destinato ai soli religiosi o ai soli consacrati, ma a tutti i fedeli, a tutto il popolo di Dio. Cosa significa diventare Santi? Significa aderire ogni giorno di più al Vangelo, significa incarnare ogni giorno di più il Vangelo, significa vivere sulla propria pelle il Vangelo. Tutti siamo chiamati alla santità. Poi c’è la vocazione particolare: madre o padre di famiglia, suora, sacerdote, religioso, single, educatore, medico, politico, avvocato, militare, sportivo, cantante, attore, scrittore… Allora, come si fa a diventare Santi? Non esiste un manuale in merito, ma possiamo dire che per diventare Santi “basta” vivere il Vangelo all’interno della propria vocazione. Tante persone fantasticano su altre possibili vite che potrebbero vivere, ma la verità è che la santità si raggiunge stando all’interno della propria vocazione. Citando i film di Harry Potter “Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere”. Infine c’è la vocazione nella vocazione, ossia mettere me stesso all’interno della mia vocazione. Faccio un esempio: un uomo, divenuto sacerdote, non può fare il sacerdote emulando un altro sacerdote. Può prendere spunto da un altro sacerdote, ma non lo può emulare. Pertanto quell’uomo deve fare il sacerdote per quelle che sono le proprie qualità, i propri doni, le proprie passioni… e così pure una mamma o un papà, uno sportivo, un medico… È importante riscoprire il senso di autenticità che Dio ci ha dato. Una volta il beato Carlo Acutis disse: “Tutti nascono originali, ma molti muoiono fotocopia”. Essere santi, essere seguaci di Cristo, significa mantenere salda la propria autenticità. Penso alla parabola dei talenti, quando, ormai giunti al termine della parabola, si presenta il servo che aveva ricevuto un solo talento, cosa dice il padrone? “Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti” (Mt 25,26-30). Oggi, in una società che ci inculca frasi come “sii te stesso”, “non cambiare mai”… possiamo ben comprendere l’importanza della vocazione cristiana. La vocazione è scoprire chi siamo, per cosa siamo stati fatti, individuare l’orizzonte che Dio ha pensato per noi. La vocazione allora non coincide con il restare incatenati, ma al contrario è la cosa più liberante che esista. Perché? Perché Dio ci chiama ad essere noi stessi. Se è vero che noi siamo un progetto d’amore da parte di Dio, allora dobbiamo fidarci del nostro progettista.
Le quattro vie per la vocazione
C’è qualche strumento che può aiutare nel discernimento vocazionale? Direi che esistano almeno quattro validi strumento che possono aiutarci in questo senso: la preghiera, lo studio, la direzione spirituale e i percorsi vocazionali. La preghiera è l’elemento essenziale che ci aiuta a plasmare il nostro cuore sul cuore di Dio, la preghiera ci fa simili a Lui. Lo studio può darci informazioni preziose, ci aiuta a sciogliere qualche nodo, qualche incomprensione, qualche perplessità che potevamo avere nei confronti della fede, della Chiesa o di Dio stesso. La direzione spirituale non è certo qualcosa di magico, ma se fatta bene, aiutati da chi ha più esperienza di noi, può davvero aiutarci nel cammino vocazionale. Possiamo confrontarci, ascoltare, meditare, grazie all’aiuto del nostro padre, o madre, spirituale. Infine i percorsi vocazionali: spesso le diocesi pensano dei percorsi con l’obiettivo di fare un po’ di maggior chiarezza per le vocazioni. Tali percorsi non sono rivolti esclusivamente per chi vuole entrare in convento o in seminario, ma per tutti i cristiani che vogliono cercare di comprendere la strada che Dio ha pensato per loro. A volte possono esistere anche dei cammini pensati solo per chi vuole intraprendere il cammino da seminarista o da novizio/a, ma sono cammini certamente più specifici. Ad ogni modo non dobbiamo aver paura di aprirci a queste quattro strade e non dobbiamo avere la presunzione che la vocazione sia qualcosa di talmente personale che nessuno ci può aiutare. Ricordiamo che la nostra vocazione, qualsiasi essa sia, è sempre all’interno di una macro vocazione, la santità, che è una vocazione comunitaria.
Avanti con coraggio verso la vetta dell’amore!