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Hai detto: Fede?

Dio esiste?
Questa è una delle domande per eccellenza che da sempre ci poniamo come esseri umani. Ma oggi,
con le scoperte scientifiche che abbiamo, con la tecnica che possediamo, con le certezze di cui
disponiamo, ha ancora senso credere in Dio? È un palliativo, un buon metodo contro la solitudine,
un tappabuchi…? Cos’è, anzi, chi è Dio? È conoscibile? O è misterioso? Cosa significa che Dio è
mistero? Lettura semplicistica, o realtà?

Partiamo per gradi:
Uno dei grandi “teorici” dell’esistenza di Dio è, senza dubbio, il grande San Tommaso D’Aquino, il
quale comincia a proporre cinque vie per provare l’esistenza di Dio. Le vie proposte da Tommaso
sono riassumibili in: cosmologica, casualità efficiente, contingenza, gradi di perfezione e finalismo.
Cosa significano questi nomi così, almeno in apparenza, difficili?
Attraverso queste vie Tommaso ci aiuta a comprendere che ogni cosa mossa necessita di un motore,
che ogni effetto necessita di una causa. Ma qual è la causa prima di ogni cosa? Senza Dio diventa
impossibile individuare la causa prima di ogni effetto; pertanto, è necessario affermare che esista un
Dio. Nel mondo poi esistono dei gradi di perfezione per cui dobbiamo dire che il bene e ciò che è
perfetto derivi da una fonte di massima perfezione. Tale fonte è, ovviamente, Dio. Infine,
Tommaso, ci dice che ogni cosa è orientata verso un fine; pertanto, dobbiamo capire verso cosa
siamo orientati. Dio rappresenta quel fine ultimo di ogni cosa e, al contempo, quella mente
ordinatrice che ci permette di arrivare a Lui. È insieme fine verso ciò a cui tendiamo, e navigatore
verso quel fine, cioè verso se stesso.

Una critica spesso fatta contro i credenti è quella di credere a una favola, così i credenti sono visti
come sempliciotti. Ma c’è differenza tra il credente e il credulone. Il credente ha il compito di
indagare sul proprio credo, si pone delle domande, si mette alla ricerca, compie un cammino. Il
credulone, invece, crede a qualsiasi cosa gli venga raccontata, senza porsi troppe domande. Inoltre,
c’è una certa ragionevolezza nel credere in Dio, molto più di quanto si pensi. Dobbiamo però
comprendere che la ragionevolezza di Dio non è riducibile a mero intellettualismo. La
ragionevolezza della fede in Dio, infatti, oltre che salto intellettuale è anche, e soprattutto, vita. La
fede, specialmente quella cattolica, resta fede e, pertanto, rigetta il fideismo, ossia la volontà di
credere contro la ragione. La fede cattolica si propone, per così dire, una ricerca scientifica di sé
stessa. Credere nell’assurdo non è il paradigma della fede, non è la formula in grado di interpretare
la fede. Adesso torna, quasi immediatamente, la domanda sul mistero. Se la fede non è riducibile
all’assurdo, come fa a fondarsi sul mistero? Sappiamo bene, infatti, che la fede cristiana si fonda sul
mistero di un Dio incarnato, morto e risorto. Dobbiamo necessariamente fare un distinguo tra il
mistero e ciò che è irrazionale. Il mistero, infatti, non è irrazionale. Il mistero, come ricordava Papa
Benedetto XVI, è: “sovrabbondanza di senso, di significato, di verità”. Continuava poi Benedetto
XVI dicendo che: “Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci
sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa”. In altre parole, spiegando le parole di Benedetto con
un esempio, potremmo fare riferimento alla luce al mattino. Quando ci svegliamo e c’è troppa luca
tendiamo a chiudere gli occhi. Noi quindi continuiamo a vedere buio, ma perché? Non perché fuori ci sia buio, al contrario, fuori c’è una luce fortissima, talmente forte che chiudiamo gli occhi. La
luce del mistero è una luce accecante, ma se ci lasciamo guidare da Colui che solo ci può condurre
al mistero potremmo adattarci alla luce del mistero stesso. Il sole, infatti, se lo guardiamo
direttamente ci fa male, però illumina le giornate. Il mistero della fede cristiana illumina la nostra
vita, ne migliora la qualità, resta difficile guardare il mistero negli occhi. Il mistero, potremmo dire,
resta mistero. Noi siamo felici quando c’è una giornata di sole, mette allegria, scalda le cose,
illumina. Nessuno di noi si arrabbia con il sole perché è impossibile guardarlo direttamente. Così
pure con il mistero della fede.
Adesso proverò, brevemente, e senza troppe aspettative di persuasione, a esporre la mia teoria, che
si accoda alle cinque vie di Tommaso, rispetto l’esistenza di Dio. La mia teoria parte dal principio
del “diverso”. Una determinata natura, a mio avviso, può definirsi e riconoscersi nella misura in cui
si mette in relazione con il diverso, cioè con ciò che esiste di più differente da essa. Faccio qualche
esempio: il buio si può definire tale se si conosce la luce e viceversa; una persona alta può definirsi
tale nel momento in cui, relazionandosi con gli altri, scopre che esistono persone basse e
viceversa… Una determinata cosa, pertanto, può definirsi e conoscersi quando si misura con ciò che
è diverso, quasi opposto. Con cosa si può paragonare l’essere umano? Cos’è che è totalmente altro
rispetto alla natura umana? Non può essere un cane o un gatto, poiché l’essere umano fa parte del
regno animale. Non può essere una pianta perché, come l’uomo, anche la pianta morirà. Non può
essere nemmeno un sasso perché anche lui, come l’uomo, fa parte di questo mondo e può mutare
con il trascorrere del tempo. Serve dunque un qualcosa che abbia una natura eterna (mai nata e mai
morente), che resti tale e quale, cioè che non subisca dei mutamenti con il trascorrere del tempo, e
che non appartenga a questo mondo. Chi, o cosa, presenta questi requisiti? Ovviamente Dio. Dio
non è mai nato, né può morire, non appartiene a questo mondo, non nel senso classico quantomeno
e, infine, non muta con il trascorrere del tempo, sarebbe più corretto dire, credo, che muta la
comprensione umana verso Dio, ma non muta Dio in quanto tale (non a caso nella Lettera agli Ebrei
troviamo scritto: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre”). Perché, allora, Dio? Perché grazie a
Dio, grazie alla Sua esistenza, l’essere umano comprende anzitutto sé stesso. L’uomo è uomo
quando esiste la donna e viceversa, il vecchio è tale quando esiste il giovane e viceversa, l’essere
umano è tale quando esiste Dio. Possiamo, dunque dire che il diverso ci permette di comprendere la
nostra vera e, per questo, autentica natura. Restando invece chiusi nei nostri paradigmi perdiamo la
verità e, in ultima, il senso della nostra stessa esistenza.

Dio fa la differenza?
Ritenere Dio al pari di un palliativo, come a volte accade, sarebbe assolutamente errato, in quanto
Dio rappresenta, da sempre, un percorso di crescita spirituale, e quindi umana. Dio esalta infatti
l’arte in ogni sua forma (arte visiva, musica, letteratura…), punta l’attenzione sulle dinamiche
sociali (perdono, misericordia, aiuto concreto, accompagnamento…), permette una maggiore
riflessione su sé stessi (esame di coscienza, meditazione, preghiera…). Vediamo come tutti questi
“tasselli” se messi insieme possono aiutare l’essere umano a migliorare sé stesso e la società in cui
esso vive. Dio risulta essere, dunque, un “elemento” fondante e fondamentale per l’essere umano e
non un accessorio facoltativo, un’appendice rimovibile o una sorta di genio della lampada. Credere
veramente in Dio significa metterlo al centro della propria vita, pensare in maniera differente
rispetto alla società, fare scelte coerenti con il proprio credo…
Il vero problema nasce proprio quando si vive il proprio rapporto con Dio in maniera superficiale,
questo fa sì che la fede diventi qualcosa di cui si può fare a meno. Il cristiano, pertanto, arriva a definirsi “tiepido” e sappiamo che la stessa Scrittura ci mette in guardia dal non credere: “se non
crederete, non resterete saldi” (Is 7,9).

Perché il Dio cristiano?
Molto banalmente potrei dire: “Perché è quel Dio che per eccellenza si è rivelato all’uomo
facendosi Egli stesso uomo”. La bellezza del Dio cristiano sta proprio nel suo abbassarsi, nel suo
voler parlare come gli uomini, soffrire come gli uomini, gioire come gli uomini. È il Dio della
misericordia, della bellezza, della condivisione, del perdono, della speranza, della carità,
dell’amore. E questa bellezza del Dio cristiano traspare proprio, direi, dalla morte in croce di Gesù,
come sostiene Papa Francesco in Lumen Fidei: “La prova massima dell’affidabilità dell’amore di
Cristo si trova nella sua morte per l’uomo. Se dare la vita per gli amici è la massima prova di
amore (cfr Gv 15,13), Gesù ha offerto la sua per tutti, anche per coloro che erano nemici, per
trasformare il cuore”. È un modo rinnovato di amare, un modo finalmente autentico e completo, si
ama anche laddove non c’è più nulla da amare, si porta luce laddove la tenebra sembra avere già
vinto, si ridona speranza e coraggio laddove pare che la disperazione e il fallimento abbiano avuto
la meglio. Continua Papa Francesco dicendo: “Ecco perché gli evangelisti hanno situato nell’ora
della Croce il momento culminante dello sguardo di fede, perché in quell’ora risplende l’altezza e
l’ampiezza dell’amore divino”. La Lumen Fidei è stata la prima Enciclica pubblicata da Papa
Francesco, correva l’anno 2013. Questo testo, in realtà, fu iniziato da Papa Benedetto XVI e poi, a
seguito delle sue dimissioni, completato e pubblicato dal Pontefice argentino. Questo testo lo
consiglio calorosamente a chiunque intendesse approfondire la fede cristiana, essendo questa
Enciclica un volume che ha come tema centrale proprio la fede stessa. Inoltre, lo troviamo in piena
continuità con le due precedenti Encicliche di Benedetto XVI: la Deus Caritas Est e la Spe Salvi. La
fede viene trasmessa con un linguaggio “tecnico” ma comprensibile, d’altra parte la teologia ha il
compito di arrivare a tutti, una teologia fatta di “paroloni” e voli pindarici risulta sterile. Compito
della teologia è proprio permettere l’approfondimento della fede, come già affermava lo stesso
Sant’Anselmo d’Aosta: “Fides quaerens intellectum”, ossia “la fede che cerca la comprensione”. La
teologia è, dunque, la fede che cerca di capire sé stessa, è la scienza che permette di comprendere la
fede e il suo senso.