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Indagine sulla condanna a morte di Gesù Cristo

Per indagare su questo tema, molto interessante e al contempo poco conosciuto, è necessario partire
dalle fonti storiche. La domanda che dobbiamo porci a questo punto è “quali sono le fonti storiche
che ci parlano, quanto meno, della vita di Gesù?”. Le fonti storiche generalmente si suddividono in
canoniche e non canoniche. Le fonti storiche non canoniche sono, ad esempio, i vangeli apocrifi
(vangelo di Pietro, protovangelo di Giacomo, vangelo dell’infanzia di Tommaso…), racconti spesso
miracolistici, e per questo poco attendibili, sulla vita di Gesù. Altre fonti non canoniche sono
attribuibili ad autori non cristiani come Giuseppe Flavio. Le fonti canoniche, invece, sono i quattro
vangeli racchiusi nella Bibbia (Matteo, Marco, Luca, Giovanni). Matteo, Marco e Luca sono definiti
“sinottici” perché risultano simili tra loro, la parola sinossi deriva dal greco “sýnopsis” che
letteralmente significa “sguardo d’insieme”. Il Vangelo secondo Giovanni, invece, viene definito
“pneumatico”, in quanto è il più profondo di tutti, va molto oltre il semplice racconto storico, non a
caso il termine pneumatico deriva dal greco “pneumatikós”, ossia “spirito”. Come direbbe Papa
Benedetto XVI, il Vangelo secondo Giovanni “ci accompagna al di là dell’aspetto esteriore fin nella
profondità della parola e degli avvenimenti, quella profondità che viene da Dio e conduce verso di
Lui”.
Fatta questa breve, ma doverosa, introduzione sulle fonti storiche, passiamo al sodo, al nocciolo della
questione che vorrei trattare, seppur limitatamente, in questo articolo.
Da sempre Gesù incontra ostacoli: costretto a nascere in una mangiatoia, la persecuzione di Erode, e
poi, da adulto, la persecuzione da parte delle autorità giudaiche che cercavano di metterlo in difficoltà,
spesso con scarsi risultati. Verso la fine del suo ministero, Gesù compie tre gesti, tre azioni simboliche
che segneranno la sua fine, quasi come se in quelle tre azioni Gesù avesse preventivamente firmato
la sua condanna a morte. La prima azione vede Gesù entrare a Gerusalemme a dorso di un asino. Il
suo ingresso in realtà è messianico, Gesù è quel re davidico. Vediamo la continuità con Zaccaria 9,9:
“Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è
giusto e vittorioso, umile cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”. La seconda azione simbolica,
e quella definitiva per Gesù, è la cacciata dei venditori dal Tempio di Gerusalemme. Ovviamente
questo gesto non passa inosservato alle autorità religiose che da quel giorno, come riportato
dall’evangelista Marco, “cercavano di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla
era stupita del suo insegnamento”. L’ultima azione è l’istituzione dell’ultima cena dove la parte più
importante risiede, come ricorda sempre Benedetto XVI nei “gesti dello spezzare il pane, del
distribuirlo ai suoi e del condividere il calice del vino con le parole che li accompagnano e nel
contesto di preghiera in cui si collocano: è l’istituzione dell’Eucaristia, è la grande preghiera di
Gesù e della Chiesa”.
Prima di venire ucciso Gesù viene processato da due tribunali: quello giudaico e quello romano. Il
motivo, almeno in parte, lo abbiamo già visto, Gesù nel suo ministero ha compiuto vere e proprie
rivoluzioni sociali, come ho scritto nell’articolo “Chi NON ha ucciso Gesù”. Le rivoluzioni che avevo
citato riguardavano la riabilitazione sociale della donna, l’apertura ai samaritani, ai peccatori e ai
pagani, la messa in discussione del forte legalismo imperante dell’epoca… ma tra qualche rivoluzione
sociale e qualche parabola, Gesù non solo ha compiuto miracoli, esorcismi e guarigioni, definendo,
di fatto, la sua attività taumaturgica. Gesù, oltre tutte queste cose, ha “osato” perdonare i peccati.
Perdonare i peccati era un potere che spettava soltanto a Dio, al Signore, e il profeta che si metteva
al pari di Dio era reo di morte. Dobbiamo comprendere che Israele prima che essere una realtà politica
era una realtà religiosa, pertanto la politica era permeata dalla religione giudaica. Con questo sguardo
possiamo comprendere meglio la motivazione della condanna a morte di Gesù, una condanna di
carattere politico-religioso, anche se il capo di accusa ufficiale resta esclusivamente politico, come è
scritto nell’iscrizione posta sopra la croce per mano di Ponzio Pilato: “Gesù Nazareno Re dei Giudei
(INRI)”. In altre parole, Ponzio Pilato vedeva in Gesù una minaccia per l’ordine pubblico, e l’unica
soluzione era metterlo a morte, porre fine a ogni possibile “mossa” di Gesù di Nazareth. Inoltre, la
fama di Gesù stava svanendo, addirittura, come riporta l’evangelista Marco: “tutti lo abbandonarono
e fuggirono”. Gesù è sempre più solo, fino alla totale solitudine, viene rinnegato, abbandonato.
Dunque, per i sacerdoti giudei e per le autorità romane non c’è timore nell’intervenire contro Gesù,
proprio perché il sostegno popolare di Gesù era sempre meno significativo.
Ecco dunque il vero movente: la paura. E come ogni buon governo poco democratico, se c’è un
oppositore politico che fa paura, quell’oppositore deve avere vita breve. Con Gesù non bastano le
provocazioni, le minacce, gli scontri, con Gesù serve il pugno di ferro, serve insomma la condanna
morte e un’esecuzione esemplare. La paura di perdere il consenso della gente, la paura di vedere il
proprio impero politico (e religioso) che va in rovina, la paura di avere un pericoloso rivoluzionario
che viene osannato e acclamato per le strade, porta le autorità giudaiche a prendere la decisione di
uccidere Gesù. Una domanda, tuttavia, potrebbe restare sospesa: “perché a uccidere (fisicamente)
Gesù sono i romani e non i giudei?”. Il motivo è presto detto: il tribunale giudaico non aveva il potere
legale di applicare la crocifissione come pena di morte, tale sentenza era riservata al governatore
romano. Ponzio Pilato, però, non avrebbe mai ritenuto valido il motivo religioso per una condanna
capitale. Ecco che torniamo al capo d’accusa sopra citato, Gesù si sarebbe auto proclamato re dei
giudei, minacciando di fatto il potere romano, in questo modo il capo d’accusa non è più religioso,
ma politico, ed ecco che i romani possono procedere all’esecuzione.