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L’ultima carica della guardia

Tempo di lettura: 24 minuti

Odore di bruciato. E polvere da sparo.
Non si riesce a distinguere chiaramente dove finisca il primo e inizi il secondo. Probabilmente non ho il naso abituato, dato che di solito li ho sempre sentiti insieme e da lontano. Ci sono dei veterani che giurano di riuscire a capire se in un settore il nostro esercito stia vincendo o perdendo, il tutto semplicemente annusando l’aria. Io c’ho provato, ma per tutta mattina ho sentito soltanto l’odore della pioggia caduta ieri sera, mentre solo da poche ore posso avvertire qualcosa di diverso.
Riesco anche a capire da dove viene: la Haye Sainte. È innegabile! Si vede il pinnacolo di fumo nero che sale verso il cielo dritto infondo alla strada. Laggiù, oltre una piccola cresta, da dove si sente il rumore della battaglia, con il tuono dei cannoni che echeggia di tanto in tanto. Un’altra colonna di fumo più modesta sta avanzando alla sinistra della strada, dietro degli alberi lontani. Forse c’entra anche il Chateau-Gaumont, chi lo sa. Non credo sia stato ancora preso dai nostri. Tutt’oggi si è combattuto, specialmente in quelle zone, per cui è probabile che stia ancora nelle mani degli inglesi come due ore fa.
Ma ancora per poco!
Mentre suono il passo di marcia sento che per sera sarà tutto finito, anche solo guardandoci. La fila dei moschetti e baionette della Guardia Imperiale che ciondolano sulla strada selciata verso la vittoria sono un’immagine irripetibile, specialmente con i colbacchi dei granatieri che ci guidano verso la linea del fuoco.
Che roba!
Le bande blu scuro, la loro armata di petti bianchi e le maniche cremisi orlate di bianco, con creste d’oro scintillante sulle spalline che ricadono in una cascata di trecce sinuose e dietro, sulla destra, la bisaccia delle munizioni con la corona scolpita in rilievo con una “N” al centro, proprio all’altezza del bacino.
Ma i cappelli, i cappelli!
Col laccio sotto il mento, quel basco peloso e nero, quella duplice ghirlanda, dorata, fissata alla coccarda tricolore e di fronte il pennacchio rosso che si innalza come una spiga di grano, uno zampillo di sangue che viene sputato dalla loro testa.
Quanta magnifica potenza!
Quanto vorrei essere vestito così. Noi del 1° battaglione 3° Cacciatori siamo della Media Guardia e, rispetto a loro, abbiamo ancora tanto piombo da masticare per essere tutti uguali, puliti e feroci come loro e i loro baffi. Noi non abbiamo un’uniforme e stiamo marciando vestiti di tutti i colori e con tantissimi cappelli diversi, ma è normale: dobbiamo guadagnarci la divisa!
Io sono prontissimo a farlo. Sono prontissimo a rullare la carica e cacciare il nemico alla baionetta!
Lo so bene cosa mi diresti ora, mamma.
“MA SEI PAZZO?! Stai andando a farti uccidere!”
“Sei un incosciente! Metterti in pericolo così, per nulla!”
“DISGRAZIATO! Fila subito a casa!”
Vedi madre, quest’ultimo punto potrebbe essere un problema … io non ho più una casa. Te lo ricordi, vero? Sono scappato. Perché me ne sono andato mi stai chiedendo? Dovresti domandarmi perché non me ne sono andato prima ed il più lontano possibile.
Sin dal momento in cui sono uscito dal tuo grembo, ricoperto di melma rossa, viola di disperazione (so come nascono i bambini, sono grande!), non mi hai mollato un secondo. Mi hai stretto fino a strozzarmi! Non lo ricordo, ma sono abbastanza bravo a immaginare le cose, per cui suppongo sia avvenuto esattamente così.
Ti sarò sembrato una creaturina così dolce, così piccina, così cicciottella, così imbronciata, così impacciata, incredibilmente sproporzionata al dolore che hai provato nel partorirmi. Hai giurato che lo avresti difeso da tutto e contro tutto, persino da me stesso.
Lo hai chiuso in casa, quel bambino.
E non parlo in senso metaforico, ma letterale. Non poteva uscire se non quando c’eri tu e a patto che non si allontanasse oltre il tuo sguardo. Per tenerlo al sicuro hai riempito la casa di cose magnifiche, libri e giocattoli in cui far perdere la sua attenzione e i suoi desideri. Gli avevi confezionato una trappola infame, corroborata da una menzogna brutale.
“Il mondo è brutto figliolo, molto brutto”.
“Le persone mentono sempre, anche se ti sembrano brave e gentili”.
Lui ci credeva e, quando voleva fare qualcosa, non poteva compierlo senza chiamarti per ricevere una mano. Avrebbe chiesto un aiuto anche a mangiare, se non avesse avuto un po’ di orgoglio personale. D’altronde sei sempre stata incredibile ai suoi occhi e, come ogni madre per il suo bambino, gli pareva straordinario che tu fossi in grado di fare tutto e realizzare tutto.
Sei sempre stata perfetta e lui non te l’avrebbe mai perdonato.
Quando è iniziata la sua adolescenza e lui ha cominciato ad uscire, i sensi di colpa e le aspettative che gli avevi imposto lo stavano soffocando. L’ansia lo uccideva. Come poteva affrontare quel mondo terribile? Come poteva uscire a petto gonfio e testa alta? Come poteva non deluderti? C’erano cose da fare, una scuola da seguire e delle aspettative che tu gli avevi fatto credere che fosse perfettamente alla sua altezza.
Iniziò a vivere una vita nascosta, una vita segreta che iniziava dopo la porta di casa e che si srotolava tra le diverse osterie di Parigi, dove le fantasie di gloria diventavano di carne nelle parole dei veterani dell’Imperatore.
La cosa non ti sfuggì, come avrebbe potuto, ma avevi un’arma segreta per correggere la deviazione del tuo piano.
I sensi di colpa.
Il ricatto materiale.
“BASTA! Non me lo merito un trattamento del genere! Io ti ho cresciuto da sola! Non ti rendi conto di quanto ho dovuto sacrificare per poterti dare da mangiare! Tutto questo lo sto facendo per te!”
“È questo quello che vuoi?! BENE! Allora va pure, va! Poi vediamo chi ti darà il pane senza provare a stuprarti! Ad abusare di te! A picchiarti!”
Che semplice canovaccio che mettevi in scena … e quel bambino, perché bambino ancora era, ti credeva senza resistenza, ti ubbidiva balbettando bava e scuse. “Questo è un mondo orribile, figliolo. Devi stare attento!”, ma le menzogne sono come le suole delle scarpe: più le usi e più si usurano.
Quando l’Imperatore è sbarcato di nuovo in Francia, il bambino non pensava che potesse essere vero. Quei sogni, quell’avventura che pensava seppellita dal corso della storia era tornata più forte come mai e lui, lui e la sua nazione, sarebbero potuti tornare alla gloria del passato. Tutto come prima, tutto come un tempo! Un sogno sicuro, un sogno collaudato per cui non c’era bisogno di essere in ansia.
Ma tu non lo pensavi.
Quell’orco era tornato per trascinare la tua nazione nella rovina e con essa anche tuo figlio, il tuo unico figlio. Lo ricattasti, lo ricattasti con tutte le tue forze pur di strapparlo ad una scelta che tu non volevi e lui desiderava. Pensavi che l’avresti potuto tenere a bada se gli avessi svelato le giuste cose al momento giusto, dandogli qualche misera consolazione di tanto in tanto.
Ma quelle immagini, quei suoni!
Là fuori c’era la realtà nuda e cruda, imperfetta e sbagliata, piena di orrore e brutalità, ma nonostante questo … vera. Reale, concreta, senza menzogne e sotterfugi. Ti prende l’anima e te la sbatte come vuole, ma quando capita che ti dia una gioia è più forte di ogni storia, di ogni finzione.
All’inizio, specialmente all’inizio, il ragazzo non riusciva a capire tutto questo, ancora inquinato dalle tue parole, ma pian piano le spezzava ad una ad una. E tutto scorreva da una parte all’altra della sua testa mentre cresceva fuori dalla tua ombra.
Sì … è allora che mi sono svegliato.
Lei non aveva sempre ragione, non era la regina che reggeva le sorti della realtà, non era più il mio capo. Ancora me lo ricordo come fosse ieri. Mi lacera il pensiero di aver sprecato così tanto la mia vita! Tutto quel tempo … per fortuna mi sono svegliato prima. Mi volevi il figlio coscienzioso, attento allo studio, morigerato nelle scelte di vita e, perchè no, un futuro medico di successo.
Ma io non sono così.
Sono spericolato, senza attenzione, un sognatore e, in aggiunta, per nulla portato alla medicina. Avresti dovuto accettarlo, accettare che il figlio che avevi nella testa non era il figlio che avevi partorito, ma non l’hai fatto. Pensavi che fossi un investimento, che bastava nutrirmi ed istruirmi per portarmi ad essere ciò che volevi, ciò che credevi che fosse il meglio per me. Tutto ciò, invece di farmi affrontare il mondo, mi ha fatto scappare da esso.
E quando ti ho confrontato, tu mi hai ignorato. Hai continuato a parlare con l’immagine nella tua testa e io non posso avere una madre immaginaria.
Sono sfuggito proprio per questo … per renderti di fronte al fatto che io NON SONO TE! Che voglio sbagliare ed esserne fiero, che voglio sbagliare e sbagliare in eterno, perché mi sono reso conto che siamo più figli dei nostri errori che di ciò che facciamo bene. Volevo dimostrarti che sapevo vivere al di fuori di te.
Da quel momento mi sono arrangiato al meglio fino ad oggi.
Tanto che, appena avevo percorso i primi chilometri dalla mia abitazione, già cercavo qualcosa da fare per mettere del cibo sotto i denti. Ho scaricato scatole, cestini di frutta, frumento, altri scacchi di roba, ho anche fatto da garzone a un macellaio per qualche tempo. L’atteggiamento impacciato che avevo ereditato da te, però, non mi aiutava per niente. Sono stato quasi sempre licenziato o cacciato o peggio. Te lo concedo, è vero che il mondo è un posto orribile … per tutti quelli non abbastanza determinati.
Mi serviva solo un po’ di tempo per adattarmi, anche se è difficile quando sei un bambino abituato a considerare tutti come tuoi nemici e puoi trovare sempre conforto nella mamma. In quelle condizioni tendi a dare fiducia al primo che ti ricorda la sicurezza che ti dava il tuo carceriere, se non fosse che io già alla seconda fregatura ho smesso di assecondarlo e alla terza cominci a farlo tu. Adesso sono a prova di fregatura, perché sono io a fregarli!
Soprattutto perchè erano solo un impiego temporaneo per aspettare lui.
L’Imperatore.
Imponente sul suo cavallo, col cappello incurvato e nero su cui cadono i petali che gli getta la folla dai balconi di Parigi. Quei fiori che scivolano come l’acqua sopra la sua giacca, sulla sua divisa, bianca splendente, con gli stivali e la bardatura su cui si incupisce il cuoio. Era un essere divino, ma che nel profondo del suo cuore era come me. Un piccolo uomo venuto dal nulla, che aveva costruito tutto e ora tornava per riprenderselo!
Un giorno o forse due dal suo arrivo a Parigi e già comparivano le prime baracche di reclutamento. Ho firmato subito, anche se sapevo che mi avrebbero dato un lavoro di fatica, tipo quelli che avevo fatto fino ad allora. Caricare e scaricare i vagoni dalle merci, cucinare, pulire le uniformi, cose di questa tipologia.
Mi sbagliavo.
I ragazzi come me vanno a fare i tamburini. Che faccio tutto il giorno? Batto due bacchette su del budello di mucca per impartire a tutti gli ordini che mi dà il mio ufficiale. Guido le truppe che marciano per chilometri a tappe forzatissime sotto la pioggia, sotto il sole e tutte le intemperie. Tutto qui? No … no madre, è ben peggio.
Io li guido in battaglia.
Sì, in mezzo ai colpi, i sibili, le palle di cannone che spaccano i corpi, mutilano i soldati e fanno il sangue ai soldati o si conficcano nella carne come schegge di legno. Con corpi ovunque, cavalli che nitriscono disperati, le grida, gli “hurrà!” sotto una pioggia di schegge e raffiche di fucili nemici, le uniformi scintillanti.
Quanto aspetto questo momento!
Per una febbre improvvisa mi sono perso lo scontro presso Ligny e sono stato sostituito al volo da un ragazzo pisciasotto. Si è fatto beccare in testa come un principiante qualunque. Se il nostro fosse un esercito costituito da gente così, chissà in che situazione ci troveremmo, ma l’Imperatore, così infallibile, è riuscito di nuovo a portarci alla vittoria, nonostante i traditori che si annidano tra di noi e che, chiaramente, gli hanno impedito di annientare i prussiani. L’ho visto quando è passato dall’infermeria con quell’arabo che sta sempre con lui. Colui che riporterà all’ordine al mondo, capace di deviare la storia con la stessa facilità con cui i contadini piegano il grano … era lì! L’avevo di fronte a me. Alto, più alto di quanto dicono i cani inglesi per ovvia invidia, il sole sulla schiena, il cappello orizzontale, il volto onnipotente. Ed io … così minuscolo, così …
Sai cosa ho concluso madre? Potrai avermi creato tu, ma è lui che mi ha fatto nascere. Ora sono qualcuno, con uno scopo, un perchè e, perfino qui, sono al sicuro. Perchè anche se morirò con gloria, le mie azioni saranno servite per riportare equilibrio a questo mondo! La vuoi sapere tutta? Credo che madri e padri siano coloro che ti vogliono, che non ti cercano di correggere ma insegnano a te stesso a correggerti, al massimo. E famiglia … famiglia è quell’insieme di persone che ti danno un perché e un posto del mondo.
Eccomi qua, mamma. Il tamburino più giovane dell’Armata del Nord, al servizio di sua maestà Napoleone Bonaparte che ci accompagna in battaglia in sella al suo cavallo.
Dopotutto non sono il fallito che credevi che fossi.
Ormai abbiamo scavallato la cresta e, di fronte a noi, compare la forma della Haye Sainte in rovina più avanti sulla strada. I granatieri di fronte a noi girano a sinistra in mezzo ai campi e il generale Malet fa altrettanto. Mi giro per restargli accanto mentre scandisco un colpo ogni secondo.
Che uomo il generale Malet! Un vero soldato, un vero servitore dell’Imperatore che lo ha seguito fino all’Elba. Di sicuro lui non ci venderà al nemico!
Vedo i granatieri che si fermano subito accanto alla strada, mentre noi li superiamo e ci piazziamo immediatamente alla loro sinistra. Vedo di scorcio anche Chateau-Gaumont alla mia sinistra, dove gli altri cacciatori stanno andando, specialmente il 4°, che tanto ha lottato Ligny.
Appena siamo in posizione vedo i granatieri che si stanno muovendo.
Il generale Malet gonfia il petto.
QUADRATO!
Gli ufficiali gridano e agitano le sciabole.
QUADRATO!
La linea dei soldati si spezza e gli ufficiali si piazzano agli angoli e ai suoi lati, trascinando i soldati di ogni compagnia a formare un lato, mentre la compagnia dei tiratori si accomoda dentro. Si piazzano su due file, creando uno spazio al centro che comprende un pugno di metri quadri di suolo. Io scivolo dentro con il generale e i suoi assistenti dai cappelli fiammanti, accanto alla bandiera del battaglione con il suo rombo bianco circondato da triangoli alternati rossi e blu intessute d’oro. In cima a tutto, sul pennone della bandiera, l’aquila, l’aquila dell’Imperatore.
Che roba! Che roba!
I granatieri, anche loro in quadrato, stanno risalendo la cresta. La Vecchia Guardia sta dietro di noi e scatta a formare i quadrati ad una velocità impressionante. La loro formazione si apre come un fiore e gli ufficiali si muovono in silenzio a passo di danza.
Una botta sulla spalla.
Mi giro e vedo il generale Malet che mi guarda indispettito.
Abbasso la testa imbarazzato. Accidenti, devo stare attento!
Si gira verso la cresta, strabuzzando gli occhi.
Il viso affilato si lancia davanti a noi.
AVANTI!
Suono il passo di carica!
La truppa cammina verso la cresta, a sinistra gli alberi bassi e scuri dietro al Chateau-Gaumont, mentre sulla destra, accanto ai granatieri, la carcassa della Haye Sainte.
Finalmente!
Camminiamo lentamente mentre il terreno si rialza, s’incurva, oltre il quale si trovano le truppe inglesi. Colpisco il mio tamburello ancora più velocemente con tratteggi sinuosi, con tonfi e arabeschi, dirigendo le gambe dei soldati che sfondano il fango con le suole. L’acqua che spurga dalle orme dei soldati, che si cominciano a sporcare sempre più in alto.
Gli “urrà” compaiono qua e là.
Ho i brividi! Lo vedi mamma, tutto va bene! Stiamo letteralmente scalando il monte del paradiso verso la gloria nazionale che riporterà la Francia al centro del mondo.
Il generale Malet smulina con la spada.
FUORI I TIRATORI!
La nostra compagnia di tiratori comincia ad uscire, spintonando per aprire la linea dei soldati. Si snocciolano di fronte a noi e corrono avanti per tirare contro gli inglesi.
Una puzza.
Una puzza di topo morto, carne che marcisce, di intestini lasciati al caldo, ti prende il naso e te lo strappa fino allo stomaco.
Un corpo scivola dentro il quadrato, viso nel fango e rigido come un tronco di legno.
Un corpo …
Poi un’altro, un’altro ancora con il grani spaccato, un’altro senza gambe e le ossa spezzate che spuntano dalla carne.
Oddio …
Un mare di cadaveri comincia a spuntare davanti a noi, tanto che dobbiamo stare attenti a dove mettiamo i piedi che, pian piano, si tingono di rosso e di quell’odore nauseabondo.
Oddio … calma Mathieu, calma.
Sento i nostri tiratori che scartano qualche pallottola.
Il rumore dei loro fucili rigati martellano. Altri vengono verso di noi, li sento fischiare sulla testa.
A destra vedo i granatieri che hanno raggiunto la cima e moltiplicano i loro “urrà”!
Un colpo.
Un lampo.
Il bordo del triangolo dei granatieri viene sbrindellato.
Macellato dalla mitraglia di un cannone.
Oddio!
Sendo il respiro che si appesantisce.
Dai, dai!
Moltiplico i colpi e stringo i denti.
Le pallottole si moltiplicano, mentre il grano si fa sempre più schiacciato e lasciano spazio ad una coltre di fumo sempre più denso. Continuo a battere senza fermarmi e ci addentriamo sempre di più verso la nostra vittoria. Ce la dobbiamo fare fratelli, questa è il momento, come a Ligny! Grouchy è arrivato a Plancenoit, dobbiamo colpire ora che abbiamo i nostri rinforzi. Siamo la Guardia, non degli idioti!
Arriviamo alla cima e notiamo un rombo di grida dai granatieri. Le divise verdi e nere davanti, oltre il fumo, stanno fuggendo. Hanno sfondato!
URRÀ!
Evviva! Ci siamo, ci siamo!
Un tuono.
Due tuono.
Due buchi si aprono nel quadrato.
Due mitraglie sventrano la formazione e mi inondano con una pioggia di sangue.
Il generale Malet sputa per terra e si pulisce la bocca.
Davanti a me gli ufficiali gridano per mettere in posizione i soldati a tappare i buchi mentre le carcasse dei nostri compagni stanno di fronte a noi. Ai miei piedi un petto, due occhi e un naso galleggiano nella materia cerebrale e le ossa del cranio scoppiate come una granata. Scheggie d’ossa, le orecchie spappolate, la puzza, la puzza e la puzza!
Il generale Malet mi da un calcio.
SUONA!
Scatto a suonare, mentre il generale smuove i suoi assistenti.
AVANTI! FATEVI SOTTO MERDE!
Oscillo le bacchette facendo schizzare il sangue di fronte a me.
Va tutto bene, va tutto bene!
Il quadrato si ricompatta e cominciamo ad avanzare, mentre alcuni cadono in terra ma si sentono soltanto gli “urrà”! Il nemico compare sulla collina attraverso la nebbia, con le loro giubbe rosse, ancora disposti in quadrato sulla terra accanto a carcasse di cavallo.
Il generale ordina di attaccare.
ALL’ATTACCO FIGLI DI PUTTANA!
Eseguo ritmando tremiti ritti e sussultanti. I soldati cominciano a eseguire mettendo in assetto i moschetti.
Il nemico si prepara. Spianano i moschetti, anche loro con le baionette sottili e affilate. I loro artigli grigi. Una pletora di militari rossi e bianchi con il colbacco nero, sottile come le loro esili figure al nostro possente arrivo.
Dai che ci siamo, dai che ci siamo! Vai Mathieu, vai! Fagli vedere!
Sparo colpi con il mio tamburino come un forsennato, mentre sento i nostri suonare i loro moschetti e li vedo prendere le bisacce e ricaricare da fermi. Colpo, moschetto a terra, cartuccia, un po’ di polvere da sparo nell’innesco, fucile a terra e dentro la canna il resto della polvere con la pallottola, sfilare la bacchetta e spingere in giù il tutto, puntare e … fuoco!
Il ritmo dei colpi si intensifica e i nostri cadono a ripetizione, mentre i cannoni con la mitraglia smembrano parti del quadrato. Siamo sempre meno e vedo i nostri caricare più lentamente, più preoccupati.
Gli “urrà” si sono fatti sempre più flebili.
PERCHÉ STATE ZITTI?!
Il generale Malet con le sue folte basette arrossa come un peperone.
CHI VI HA DETTO DI FERMARVI! URRÀ PER IL NOSTRO IMPERATORE! URRÀ! UR-
Un sibilo.
Silenzio.
Il generale cade a terra.
Gli assistenti si gettano su di lui, la sua spalla spruzza sangue come fosse una fontana. Lo sento gorgogliare di sofferenza mentre uno stuolo di mani si prodiga nel porgergli un fazzoletto. Una voce echeggia.
I granatieri si ritirano!
Come?! Cos-
RITIRATA!
Cosa?!
RITIRATA!
Ritirata!
Ritirata!
RITIRATA!
Fermi!
Un tuono.
Una raffica nemica.
Schizzano i colpi.
Fumo.
Rumore.
Urto alla spalla.
Colpo in pancia.
Schizzo di sangue.
Che succede?!
Che succede?!
Cado indietro.
Qualcosa mi ferma.
Tutto confuso.
Tutto gira.
Tutto sfocato.
Bagnata la schiena.
Persa una bacchetta.
Voci rotte.
Un fischio di fondo.
Sono per terra.
Il mio tamburo è rotto. Lo vedo … è rotto …
Scivolo leggermente all’indietro, con delle figure blu che mi passano accanto ignorandomi completamente. Un tubare di colpi sordi mi accoppa le orecchie, le immagini mi arrivano scattose.
Co … sa …. cosa sta succedendo qui?
Sento … tutto strano … vedo i nostri passare e urlare qualcosa, ma non riesco a capire ciò che dicono. Il fumo dei moschetti soffoca le poche immagini.
Ma che succede?
Oddio … stiamo cedendo! MERDA! Devo riprendere a suonare! Anche se è rotto il tamburo. La Guardia non rincula!
Mi muov-
AAAAAAAH!
Dolore alla spalla.
Dolore alla pancia.
Oddio, oddio!
Che succede?! Perché fa così male?!
Guardo la fonte di questa tremenda sofferenza alzando il capo dal suolo.
Fiotti di sangue da due buchi. Uno sulla spalla sinistra e uno sulla pancia. La veste si è spaccata e i lembi rialzati.
Oh, Cristo! OH, CRISTO!
Sto morendo, sto morendo!
DIO STO MORENDO!
Non può finire così.
Oddio! Oddio!
Non può finire così!
Ho paura!
Mamma! Mamma!
NON PUÒ FINIRE COSÌ!
Non riesco a muovere la destra.
SANGUE! SANGUE!
Non posso stare qui!
Devo alzarmi!
Stiamo perdendo! Stiamo perdendo!
MALE!
Oddio! Oddio!
Butto il tamburino a lato. La tracolla mi resta attaccata.
Mi spingo sulla sinistra con le gambe, puntando le scarpe e facendo perno sulla spalla sana. Stringo i denti dal dolore.
Ciondolo con movimenti affaticati e ripetuti, almeno per riuscire a mettermi pancia in giù, ma scivolo in continuazione. Non riesco a prendere bene la spinta, mentre la mia carne esposta continua a bagnarmi la giacca. Devo mettermi sdraiato. DEVO METTERMI SDRAIATO!
Spingo, spingo ma non riesco a girarmi. VA BENE! BASTA!
Mi lancio con tutte le forze.
Mi giro prono.
Lacrime.
NON PIANGERE! NON PIANGERE!
Maledetti! Maledetti!
Mamma, mamma dove sei?
Tremo tutto.
Ansimo.
Piango.
Sono a pancia in giù. Devo alzarmi, alzarmi! NON POSSO FARMI VEDERE COSÌ!
Dio ti prego fammi morire!
MERDA! DOVETE MORIRE TUTTI, BASTARDI! DOVETE MORIRE TUTTI!
Trascino le gambe vicino al petto. Sento lo stomaco spappolato e il viso intriso di sangue, erba bagnata, sangue, sudore. MERDA! MALEDETTI! Maledetti …
Uso la sinistra e riesco a spostarmi a pecora. NON FERMARTI! NON PUOI FARTI VEDERE COSÌ!
Mi sposto con uno slancio in ginocchio e poi mi metto eretto, distendo in ordine prima la gamba sinistra e la mano destra a spappolare la terra scivolosa e disgustosa, su cui si sta spalmando il sangue che mi cola dalla spalla e dal corpo.
MALEDETTI! SIATE TUTTI MALEDETTI! Maledetti bastardi! Sto sanguinando, sto sanguinando per colpa vostra! Sto piangendo per colpa vostra!
Mamma, dove sei?! Ti prego, aiutami!
Stringo le mani sulle ferite.
Blocco la fuoriuscita.
Aumentano i battiti.
Sento i proiettili dentro di me.
Sobbalzano mentre respiro.
FA MALE CAZZO! Fa male, fa male, fa male.
I nostri corrono a destra e a sinistra, mi pulsa la testa e mi fischiano le orecchie.
MALDETTI! DOBBIAMO AMMAZZARLI!
I nostri stanno scappando, li vedo in fondo alla cresta, mentre i quadrati della vecchia guardia stanno facendo altrettanto. NO! Che state facendo?! Dove andate tutti quanti?!
I nostri soldati corrono disperati. Senza contenersi, perdendo l’orgoglio!
FERMATEVI! Non lasciatemi solo! Vi prego! VI PREGO!
Un accalcarsi di carne, canne e calci e colpi di moschetti e fucili.
Come è possibile?! Come è possibile?!
Non vedo nessuno!
Saltano! Gridano! Piangono!
DITEMI COME È POSSIBILE?!
Si ritirano … lontano, oltre la nebbia, oltre le carcasse … Tutta la mia tensione si coagula in stanchezza, debolezza. Le cose restano cupe e confuse. La mia testa si aliena per un attimo dal corpo, gira e gira e gira e gira e gira e gira e gira senza fermarsi.
Ma mi sono mosso? Ho camminato da quando mi sono alzato?
Ma chi è stato a farmi tutto questo?
Non mi sento più le braccia, non riesco più a stare in piedi, cosa sta accadendo, non capisco cosa mi bagna la faccia, ogni volta che respiro mi fa male la pancia. Perché provo tutto questo dolore, questa sofferenza?
Io volevo soltanto essere felice …
IO VOLEVO SOLTANTO ESSERE FELICE!
Una persona balena dal mare confuso in cui sono immerso e appare di fronte a me.
La figura femminile si staglia chiaramente in mezzo alla confusione e alla indecisione.
Una posa eretta e statuaria con la forza di uno scoglio che abbatte ogni nave incontri.
Di quelli che se ne stanno nascosti sotto diversi metri di acqua a soffocare in silenzio.
Una forma che non posso non distinguere, non posso non affrontare.
Un peso che non posso non considerare, non posso, non posso!
Tu, tu, tu, tu, tu!
TUUUUUUUUUUUUUUU!
Mamma, mamma!
Barcollo verso di lei.
Sei stata tu! Sei stata tu! Sei stata tu!
Stringo il petto con una mano.
Mamma, mamma!
Spacco le labbra con i denti.
Mamma, mamma!
Sei stata tu! Sei stata tu! Sei stata tu!
Sei stata tu! Sei stata tu! Sei stata tu!
Mamma, mamma!
Sei stata tu! Sei stata tu! Sei stata tu!
SEI STATA TU, MADRE!
È colpa tua se sono qui! È colpa tua se sto sanguinando!
GUARDA QUANTO SANGUINO! È colpa tua! È colpa tua!
Aiutami, ti prego, ti scongiuro!
Io-
Deglutisco.
Io ci ho provato a cambiare …
Se anche solo metà di quanto sono lo debbo a te, saresti tu la causa della mia rovina!
Guardami! GUARDAMI! Tremo, ho paura, ho fame, sono stanco!
Aiuta-mi …
Sarei potuto restare a casa, sarei potuto restare fuori da tutto questo, se solo mi avessi impedito di fare una delle mie solite cavolate.
Ma sai?! Ma sai?!
Mi hai instillato solo paura … e malinconia
e rassegnazione …
Non te accorgevi, lo facevi per proteggermi, ma alla fine è questo quello che mi hai dato!
Mi hai riempito di debolezze, dubbi irrisolti, più di quanto servisse, più di quanto è di dovere per far muovere una persona.
Una madre ….
Una madre protegge dalle proprie preoccupazioni, non le sputa … sputa sul figlio …
Ooooooooh, allora mi non mi hai lasciato altra scelta.
Mi sono dovuto rinchiudere dentro me stesso, sperando di resistere.
ECCO DOVE SONO FINITO!
Ho … paura …
A sanguinare! A soffrire come un cane!
Sono uno scemo, sono un’idiota, un deficiente!
Ma l’ho capito! L’ho capito! L’ho capito perché hai fatto così!
TU AVEVI PAURA DEL MONDO! Per questo … per questo mi hai nascosto. Per debolezza … per debolezza … perché non reggevi tutti questi cambiamenti … e non li capivi. “Non è facile, sai?!” “È difficile crescere un bambino, non è da tutti!” “Vedi di mostrare più riconoscenza!”
Adesso capisco. Ti perdono, ti perdono mamma!
Ah, sì! Ma sai?! MA SAI CHE HO VISTO?!
Ti ricordi quelli che tu chiami zingari, ladri, accattoni.
“Non ti avvicinare o ti rapiscono e ti mangiano”.
Ecco, stavo morendo di fame come lei e mi ero seduto ad un passo perché non ce la facevo più, non ce la facevo più.
Ancora non so il perchè.
Ha diviso con me il suo pane.
Ancora non so il perchè.
Ancora non so il perchè.
Perché non lo so?!
E non so nemmeno chi fosse.
Mamma …
Un soldato mi ha dato due soldi.
Mamma …
“I soldati sono tutti ubriaconi e puttanieri.”
Due soldi per comprarmi delle scarpe.
E io non so ancora chi fosse.
Perchè io non so chi fosse?
Una donna mi ha consolato, mi ha dato un tetto per una sera … non ha volto niente … non mi ha cercato di fare simile a lei, non mi ha nascosto al mondo … neanche per un giorno. Mi ha aiutato …
Mi ha sfamato.
“A quelle piace fregare le donne sposate.”
Mi ha vestito.
Mi ha coccolato.
Mi ha sgridato.
Mi ha ripulito.
“Guardale … quanto sono sporche!”
Mi ha sorriso.
Mi ha consigliato.
Mi ha ascoltato.
“Non avvicinarti! La signora vuole solo i tuoi soldi!”
Mi ha consolato.
… ED ERA UNA PUTTANAAAAA!
Cado.
Faccia per terra.
Sporca. Sozza. Di sangue e fango.
Il fango che filtra tra i denti.
Le lacrime che mi schiacciano gli occhi.
Il dolore del sangue che sgorga.
Il bagnato che inzuppa la divisa.
La mia divisa, la mia adorata divisa.
Ti capisco, anch’io ho paura, ho tanta paura del mondo e non lo capisco, non so come gira e in che direzione vada.
Tiro su la faccia.
Pianto i palmi.
Ti capisco, ma ho visto troppe cose belle per arrendermi e continuare a spaventarmi.
Schiaccio sassi.
Erba.
Tutti mischiati.
Vale la pena lottare per cambiare questo mondo. Cambiarlo … va cambiato …
Non indietro, ma avanti, avanti!
Braccia bianche.
Mi sento male.
“La carriera è tutto nella vita”.
Sanguino.
Sono debole.
Mal di testa.
“Un lavoro onesto è il sogno di tutti gli uomini”.
Striscio a gattoni.
I polpastrelli grattugiati.
“Non fare l’eroe!”
Le ginocchia si sciolgono.
Tu avevi paura …
Io non voglio avere paura.
Di un mondo che cambia.
Di un posto che non capisco, che non mi ama.
“Non farti fregare figliolo.”
Ma il mondo gira, gira e gira.
Il mondo continua ad andare avanti e a cambiare.
Tu sei stata ferma e ti sei fatta travolgere.
“Nulla cambia veramente sotto il sole.”
Quante cosa, quante cose ho scoperto e dovrò scoprire.
Sto morendo …
È colpa tua. Aiutami. È colpa tua. È colpa tua. Aiutami. Aiutami.
Stacco la faccia da terra.
Gira tutto.
La testa leggera.
Le mani tremano.
I respiri si diradano.
Io ho ragione, perdonami.
Mi trascino le gambe.
Coi ginocchi unti.
Non sento le dita.
Non sento i piedi.
Ti sbagliavi!
Accascio il corpo.
Resta in ginocchio.
Le palpebre pesanti.
Le spalle allentate.
La gola impastata.
Lo spirito fiaccato.
Perdonami!
Le braccia si accasciano.
Il corpo non risponde più.
Un pezzo di gesso.
Sbiancato.
Svuotato.
Piccolo.
Impercettibile.
Ti sbagliavi. Perdonami.
Ti sbagliavi! Perdonami.
Perdonami.
Perdonami!
TI SBAGLIAVIIII!
Perdonami …
Un nitore improvviso.
Un inglese dalla giacca rossa mi si avvicina con il suo fucile stretto in mano, la baionetta appuntita.
Mi infilza la gola.
Ferro.
Freddo.
Ingombro.
In gola.
Blocco.
MI HA COLPITO!
MI HA COLPITO!
Vomito sangue.
Sbavo sangue.
Piango sangue.
Sudo sangue.
Bofonchio.
Balbetto.
STO MORENDO!
STO MORENDO!
Ho un ferro in gola.
Mi sta soffocando!
Non riesco a muovermi!
Non riesco a muovermi!
HO PAURA, HO PAURA!
Perché capita a me?!
Che sta succedendo?!
È colpa tua madre!
Che sta succedendo?!
Dove andrò?!
Che fine farò?!
Perdonami!
Che … che … che … fine … fine …
Pensare diventa difficile e il torpore mi prende la mente.
Il soldato stacca la baionetta, che scivola pizzicando un poco l’ugola.
Corre via alle mie spalle verso direzioni che non capisco, come ogni cosa che vedo.
Cado di lato con la mente a trascinare il corpo verso il basso e la miseria sempre ad accompagnarmi in questo viaggio.
Galleggio dentro un miscuglio di liquidi imprecisati che perdono il loro colore, ma si mescolano al lieve gorgoglio della mia bocca. Respira rantolante nel silenzio un cielo di cenere.
Piange, piange acqua di disperazione e piango anch’io con lui per la paura. È rimasta solo quella che le sensazioni mi posso ancora descrivere. Anche la ragione sta cedendo.
È l’unica che mi resta e con cui resistere ormai vale a poco. Si sta staccando da ogni funzione e ormai si sta assopendo con ogni altra cosa che è possibile avvertire o subire.
Provo a resistere a questo inesorabile decadimento, ma per quanto mi concerne non c’è più speranza, non c’è più ricarica e ogni cosa si sta concludendo.
Non riesco a muovere neanche uno spillo della mia anima e ormai ogni senso non mi risponde più in questo silenzio abissale, annientato nella volontà.
Sento solo, chiarissime, le risate vittoriose di mia madre …