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“Peregrinantes in Spem – Pellegrini di Speranza”, questo il titolo del Giubileo di quest’anno annunciato attraverso la bolla d’indizione “Spes non confundit” di Papa Francesco. Ma quale speranza? È forse essa il semplice prodotto di un ingenuo ottimismo?
La Chiesa ci insegna che le tre virtù teologali sono fede, speranza e carità. Cito direttamente dal Catechismo della Chiesa Cattolica: “La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il Regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo”. E ancora: “La virtù della speranza risponde all’aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al Regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene i momenti di abbandono; dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna”. E, sempre dal Catechismo: “La speranza cristiana si sviluppa, fin dagli inizi della predicazione di Gesù, nell’annuncio delle beatitudini. Le beatitudini elevano la nostra speranza verso il Cielo come verso la nuova Terra promessa; ne tracciano il cammino attraverso le prove che attendono i discepoli di Gesù. Ma per i meriti di Gesù Cristo e della sua Passione, Dio ci custodisce nella speranza che non delude”, e qui, proprio attraverso le parole di San Paolo, riprese dal Catechismo stesso, torniamo alla bolla d’indizione “Spes non confundit”.
La speranza cristiana, dunque, non è ingenuo ottimismo. Essa è da considerarsi come il risultato dell’incontro con Cristo Risorto. È lui la speranza di ogni cristiano, è lui che traccia il cammino dell’avvenire, è lui che dirige i passi della sua amata sposa, la Chiesa. E noi, con i cuori pieni di gioia e di speranza, siamo chiamati a essere pellegrini. Il pellegrinaggio che siamo chiamati a compiere non si deve però esaurire con la fine del Giubileo, ma deve proseguire lungo tutta la nostra vita. Dobbiamo essere pellegrini di speranza ogni giorno nelle nostre famiglie, nelle nostre amicizie, nei luoghi di lavoro, nelle parrocchie, nelle associazioni… In una realtà segnata ancora da troppe violenze e da inutili e dolorose stragi, il mondo ha bisogno di parole di speranza, anzi, ha bisogno della Parola di speranza: Cristo Risorto. La Chiesa, specialmente nei suoi giovani, ha bisogno di portare a ogni uomo e a ogni donna questo lieto annuncio.
Fatta questa doverosa premessa, che serviva per mettere a fuoco il tema di questo Giubileo, vado ora a raccontare cos’è stato per me il Giubileo, cosa mi ha suscitato e cosa mi porto a casa da questa esperienza. Ho potuto comprendere una cosa fondamentale: il valore dell’amicizia. Attenzione però, non parlo di amicizie qualsiasi, ma di amicizie spirituali. Cos’è l’amicizia spirituale? Essa non rinnega nulla dell’amicizia “normale” o “classica” fatta di scherzi, divertimento, chiacchierate lunghe e profonde, esperienze, viaggi… ma amplifica e approfondisce quello che già l’amicizia offre aggiungendo un tassello importantissimo: la fede. L’amico spirituale è colui che condivide la tua fede, con il quale preghi insieme, con il quale si prega non solo per le medesime cose ma anche l’uno per l’altro, con il quale si condivide Cristo. Potrebbe sembrare una cosa scontata, eppure Papa Leone XIV proprio su questo ci ha fatto ragionare. Cito il primo intervento che il Santo Padre ha tenuto durante la Veglia a Tor Vergata nella sera del 2 agosto: “Quanto è difficile trovare un’amicizia autentica! […] Agostino cercava la verità, la verità che non illude, la bellezza che non passa. Come ha trovato un’amicizia sincera, un amore capace di dare speranza? Incontrando chi già lo stava cercando, incontrando Gesù Cristo. Come ha costruito il suo futuro? Seguendo lui, suo amico da sempre. […] L’amicizia con Cristo, che sta alla base della fede, non è solo un aiuto tra tanti altri per costruire il futuro: è la nostra stella polare. […] Quando le nostre amicizie riflettono questo intenso legame con Gesù, diventano certamente sincere, generose e vere. […] L’amicizia può veramente cambiare il mondo. L’amicizia è una strada verso la pace”. Dunque, l’amicizia spirituale non è nulla di magico o miracolistico, ma si tratta semplicemente di mettere Cristo al centro. Questo significa anticipare il Regno dei cieli, dare cioè forma alla nostra speranza nel Paradiso, nella vita eterna. Ogni volta che mettiamo Cristo al centro stiamo rendendo vicino il Regno dei cieli. Una delle petizioni iniziali presenti nella preghiera del Padre Nostro afferma: “Venga il tuo Regno”. Cosa stiamo chiedendo? Stiamo chiedendo che il Regno dei cieli, il Paradiso, possa venire qui sulla terra, possa toccare i nostri cuori e le nostre menti, possa palesarsi nella nostra vita. Tutto questo può accadere quando scegliamo di mettere Cristo al centro delle nostre amicizie. Questo è il compito di noi giovani cristiani, questo è il compito della Chiesa. Ma perché non agiamo direttamente in merito alle violenze e alle guerre? Perché non diventiamo tutti missionari? Perché “sprechiamo” tempo a pregare? Perché quando io metto Cristo al centro delle mie relazioni, sto portando il Principe della Pace nel mondo. La pace, la storia lo insegna, non può essere duratura se è il solo frutto di trattati o di armistizi. La pace, quella vera, quella che ci scomoda, quella che sa di eternità, è solo la pace di Cristo. La pace autentica di Cristo ripresa dalla liturgia, consegnata alla Chiesa dal Vangelo secondo Giovanni: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. E qui ritorniamo al Catechismo sopra citato, per cui la speranza del cristiano non si poggia sulle sue forze, quanto invece sulla cooperazione con Dio, sapendo che il lavoro grosso lo fa il Signore.
Ecco, dunque, cos’è stato per me il Giubileo: riscoprire la forza e la bellezza delle amicizie spirituali, come fonte di speranza per il futuro, non solo della Chiesa, ma di tutto il mondo. Il mondo ha bisogno di pace, noi giovani rispondiamo con l’amicizia e la speranza. Il mondo porta il caos con le armi e le ingiustizie, noi giovani, in silenzio, adoriamo l’Eucarestia. Il mondo crea il panico in tante strade, uccidendo, violentando, abbattendo, noi giovani per le strade di Roma abbiamo cantato, ballato, pregato e ci siamo abbracciati. Una via è sempre disponibile e noi la chiamiamo Santità. Finisco, dunque, con un’altra perla che Papa Leone XIV ci ha consegnato in questo Giubileo: “Aspirate a cose grandi, alla santità ovunque voi siate, non accontentavi di meno”.