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Tana l’indigeno

Tempo di lettura: 10 minuti

Dicono che viaggiare sviluppa l’intelligenza. Ma si dimentica sempre di dire che l’intelligenza bisogna averla già prima. (G. K. Chesterton)

Chissà cos’avrebbe scoperto Colombo se l’America non gli avesse sbarrato la strada. (S. J. Lec)

Io sto qui da sempre, come mio padre prima di me e il padre di suo padre.
Quello prima ancora, invece, sembra che sia venuto da lontano.
Non che stesse male dov’era, ma a un certo punto dev’essere accaduto qualcosa: un cambiamento climatico, politico, di capo condominio, non so: comunque una roba che a lui non piaceva affatto.
O forse era solo curioso, quindi –approfittando del disgelo- prese a camminare prima verso Est, poi a Sud in cerca di posti più caldi.
Pare che si sia fermato in una bella pianura tiepida, ricca di selvaggina, frutta, acqua, ed abbia messo su famiglia.
E che una sera, dopo il ventitreesimo figlio, abbia detto a una delle mogli: “esco un attimo a comprare sigarette”, e da allora non si sia più visto da quelle parti.
Senz’altro avrà proseguito il suo cammino a meridione, facendosi altre famiglie, mettendo al mondo altri figli e fondando villaggi dai quali si allontanava sempre con la stessa scusa.
Finché un giorno –secondo il mito- gli si avvicinò uno dei tanti nipoti preadolescenti che gli disse: lo sai nonno che fumare fa male a te e a chi ti sta vicino?
Si racconta che lo abbia guardato con tenerezza, poi abbia risposto: per questo mi allontano, figliolo. E ascoltami e impara e ti conforti, che moriranno più salutisti in automobile che tabagisti senza patente. Sappi inoltre che mio padre è campato più di cent’anni facendosi gli affari suoi.
Il fanciullo ovviamente non capì tutte le parole del vecchio: allora non c’erano automobili né salutisti, men che meno governi che s’impicciassero anche di quel che fai sotto le lenzuola.
Tuttavia recepì il messaggio fondamentale, ne fece il pilastro della propria vita, quindi in breve diventò una giovane promessa per l’intera collettività, poi un rompicoglioni, infine un venerato maestro (anche allora funzionava così: è un archetipo).
Da morto gli vennero attribuiti diversi miracoli, compreso quello di far comparire i Vigili Urbani quando ce n’era bisogno, quindi fu fatto Santo.
Oggi lo veneriamo come Patrono della nostra comunità, col nome di “Fatticazzituoi”, anche se qualcuno degli Anziani non è d’accordo, e preferirebbe l’antico “Scusimanonsonoaffarisuoi”, che magari è più carino, ma non rende l’idea con la stessa immediatezza.
Comunque noi ogni anno al plenilunio (ma anche dopo, se ci scordiamo) celebriamo la sua festa.
Ci riuniamo tutti al centro del villaggio, tracciamo una riga in mezzo, poi ci disponiamo metà da una parte e metà dall’altra. Convenzionalmente a destra e a sinistra.
Quelli che stanno a sinistra, in coro, cominciano a chiedere agli altri: “perché non avete fatto questo e quello? perché vi siete occupati di certe cose mentre c’era ben altro da fare?”.
Allora quelli che stanno a destra rispondono invocando il Santo: “Ossignùr, Fatticazzituoi!”
L’antifona prosegue per un po’ con formule rituali: “questa non è democrazia”; “noi abbiamo vinto le elezioni, quindi (segue l’invocazione)”; “sì, ma avete comprato i voti”; “non è colpa nostra se voi avete le pezze al culo”.
E così via, finché viene il momento di cambiare: chi stava a destra si sposta a sinistra e viceversa (salvo qualche furbastro che va nel gruppo misto in attesa della cena).
La celebrazione prosegue con poche varianti fino alla zuffa finale: il momento più bello della serata.
Ce le diamo di santa ragione, ma senza ragione né regole, fino a che arrivano i vicini armati e non poco infastiditi, il cui capo ritualmente dice: “Aò! la volete piantare con ‘sto casino? Qui c’è gente che domani deve andare a lavorare!”.
Allora ci fermiamo tutti guardandoci l’un l’altro con aria interrogativa, poi rispondiamo in coro: “questa è una Religione, e tu la devi rispettare. Fatticazzituoi!”.
Di solito funziona, ma a volte no.
Un paio d’anni fa, ad esempio, i vicini non si sono presentati in armi, ma il giorno prima della festa hanno sparso cacca di gatto a metà del piazzale del nostro villaggio, coprendola con un sottile strato di sabbia.
Al momento di scambiarci le parti (forse anche prima) l’abbiamo pestata tutti, e questo ha cambiato l’antifona: “tu puzzi!”, “già, perché tu invece sei un fiore”; “ma io l’ho fatto a mia insaputa”, “io invece perché me l’ha detto il Partito, ma ero in buona fede”, “vedremo cosa ne pensano gli inquirenti”, “ho piena fiducia nella Magistratura”, “seee, e io credo che esistano i Puffi”, “esprimo la più ferma condanna di questo insulto razzista, la mia sincera solidarietà al Grande Puffo, e darò mandato ai miei legali di procedere contro Gargamella”, ecc.
Però la rissa finale è venuta bene lo stesso.
Il giorno dopo abbiamo mandato ai vicini due ambasciatori (notoriamente libertini) con un messaggio di pace e la sifilide: non si son più fatti vivi gli uni né gli altri.
Peccato: era divertente bisticciare con loro, tranne quando erano davvero di cattivo umore.
Perché allora facevano cose sconvenienti, tipo catturare e scuoiare alcuni dei nostri.
Non è bello questo, anche perché poi tocca rispondere per le rime: fare un’incursione, acchiappare qualcuno dei loro, strappargli il cuore e mangiarlo crudo.
Uno schifo che non ti dico, senza considerare la fatica di preparare l’agguato, far tacere le vittime (uuuh quanto la fanno lunga!), fissare l’appuntamento col Sacerdote, preparare l’altare di pietra (che se non è allineato con le stelle giuste tocca spostarlo, ed è qualche tonnellata), convocare la gente, fare i riti di purificazione.
Insomma: ‘na palla che ci saremmo potuti risparmiare se tutti avessimo seguito il precetto del Santo.
Comunque, a parte qualche momento d’incomprensione, si stava benino tutti quanti.

Forse sto un po’ divagando, ma questa premessa era necessaria per farti capire com’è la mentalità primitiva, e perché io mi trovassi a mio agio a casa mia prima che mi scoprissero.

Ero qui, dunque, sulla spiaggia, a trastullarmi con un paio di ananas e una bella ragazzuola (ma forse c’era un solo ananas e le ragazze erano due, non ricordo bene) quando a un certo punto arriva un tipo con un vestito ridicolo e decisamente inadatto al clima, piuttosto puzzolente e con due occhi da invasato che mi fa: “Ti ho scoperto!”.
Tana l’indigeno!, mi viene d’acchito.
Poi rendendomi conto che la battuta era sì appropriata ma non cortese, mi ripiglio e dico: ciao, io mi chiamo Wa’ka, con chi ho il piacere di parlare?”
Sono Cristoforo Colombo, e prendo possesso di questa terra in nome di Dio e del Re di Spagna.
Per inciso: come fai a conoscere la mia lingua, se è la prima volta che ci vediamo?
Perché se no questa storia non si potrebbe raccontare.
Va be’, andiamo avanti. Intanto cosa significa il tuo nome?
In verità il mio nome completo è Wa’kkagà, e significa “Colui che ti indica la via giusta”.
E quale sarebbe, di grazia, la via giusta?
Certo non quella che hai preso, visto che volevi andare in India. E il tuo nome cosa vuol dire?
Vuol dire “portatore di Cristo”.
E Colombo?
Ohibella, vuol dire colombo, piccione.
Già, in effetti sei stato un bel piccione, vista la fine che hai fatto.
Bando alle ciance, indiano: sono qui per prendere possesso dell’America.
Scusa, ma intanto io non sono indiano, poi questa terra si chiamerà così fra diversi anni, dal nome di Amerigo Vespucci, non dal tuo. Se no si sarebbe chiamata Cristofora o Piccionia.
Colombia nel caso!
Va be’, Colombia, Piccionia: starebbe comunque sull’uccello (absit iniuria verbis).
Non parlare nella tua lingua barbara e incomprensibile.
Bada che è latino, minchione.
Anche quest’ultima arcana parola?
No, questo è un lemma gergale che abbiamo mutuato da un dialetto del Sud, ma non credo che ti piacerebbe conoscerne il significato.
Daccapo allora: prendo possesso del Nuovo Mondo.
E dàlli: sarà nuovo per te, non per me che ci vivo da mò.
Inoltre mi spiace doverti informare che prima di te sono passati da ‘ste parti anche alcuni Vichinghi che puzzavano uguale ma se la tiravano meno.
Senti: mi sono giocato tutto quel che avevo per questo viaggio, ho fatto una traversata oceanica con carte nautiche del cazzo e tre bagnarole, ho dovuto sedare rivolte dell’equipaggio e patire la fame.
Adesso ho anche un forte mal di testa. Quindi, per cortesia, lasciami in pace e fa’ il buon selvaggio, ok?
Non vorrei essere petulante, ma anche il mito del buon selvaggio è stato inventato un bel po’ dopo di te.
Allora stai al tuo posto e fai solo il selvaggio, va bene?
Quindi t’ammazzo e magari ti mangio?
No grazie, ho già avuto una giornataccia.

Col senno di poi sarebbe meglio così, non credi?
Non hai tutti i torti, ma le cose sono andate diversamente: io ho scoperto te e la tua terra, quindi siete miei.
Sarà. io non ho mai visto la Spagna, ma se arrivassi lì per caso non avrei tutte ‘ste pretese.
Vorrei anche vedere: la Spagna è un Regno cattolico e potente, che sottostà solo alla volontà di Dio.
Quale Dio?
L’Unico perbacco!.
Lo stesso degli ebrei e dei musulmani?
No, quelli sono miscredenti e nemici della Vera Fede.
Loro dicono lo stesso di voi.
E tu come fai a saperlo?
Per lo stesso motivo di prima, se no il racconto non procede.
Sei proprio petulante.
Ho i miei buoni motivi per mettere i puntini sulle “i”, anche se non servirà a molto, temo.
Allora se ne fai una questione di legittimità e di diritto beccati ‘sto “Requerimiento” .
Sei un po’ in anticipo sui tempi, ma vediamo: …il Re di Spagna … bla bla …, l’unico Dio …bla bla …e se non fate come dico vi stermino senza pietà.
Meno male che non ha aggiunto “capito mentecatti?”.
Complimenti, bell’esempio di filosofia del diritto, e soprattutto di carità cristiana.
Ma basta là, tanto ormai mi hai scoperto.

Poi la storia andò come andò, ed ebbe anche il cattivo gusto di ripetersi sotto forma di tragedia, mica di commedia (checché ne dica il Sig. Marx).

Salve, sono Cristoforo Colombo: dove siamo qui?
Noi siamo in Congo, e tu di nuovo fuori strada.
Come ti chiami?
Wah’kkagàh, con l’acca finale stavolta, come Debborah.
Dove ho già sentito questo nome?
Non saprei: l’esploratore sei tu.
Tutti uguali ‘sti indigeni. Comunque: in nome di Dio e del Re di Spagna prendo possesso…
Capo, bada che il Re di Spagna non c’entra niente: semmai è il Re del Belgio.
Prendo ugualmente possesso.
E poi?
Poi vi porto la Vera Fede e la Civiltà.
Cioè il Dio unico che conosciamo già, ma con la penicillina, il suffragio universale, l’INPS e la televisione?
Piano, un passo alla volta: intanto la Vera Fede, poi vedremo.
Già, e nel frattempo saranno cavoli amari.
Ma quanto sei negativo!
Ripeto che ho i miei buoni motivi, avendo una certa esperienza.
Intanto conosciamoci meglio indigeno, ti va? Cosa significa il tuo nome?
Te l’ho già detto: “Colui che ti indica la giusta via”, cioè “via di qua”, con o senza l’acca.
Quanto al nome tuo so già che vuol dire “guai”.
Quindi piantiamola: prendi possesso e smettila di rompere le balle, perché tutto ciò non turberà l’armoniosa indifferenza del cielo.
Questa me la segno e la giro a Marco Polo.
Non vuoi sapere cosa significa il mio di nome?
Lo so già, grazie: portatore di Dio con la testa di un piccione.
Mi offendi!
No, constato.
Con l’accento piano o bisdrucciolo?
Ma Wah’kkagàh, gnurànt!.
Ancora una volta devo osservare che voi indigeni siete proprio scortesi, e mi tocca sottomettervi nel vostro interesse.

Salve, sono Marco Polo.

A parte che assomigli molto a quello stordito di Cristoforo Colombo, come ci sei arrivato in Australia?
Perché in verità sono Cristoforo Colombo ed ho sbagliato strada anche stavolta.
Visti i precedenti, non potevi restare a casa tua?
Navigare necesse est!
E allora fatti socio di uno Yacht Club e smettila di scassare le balle.
Non capisci, aborigeno arretrato quale sei: ho nell’anima il sacro fuoco dell’avventura e della scoperta, voglio portare nell’universo mondo la Buona Novella, lo Spirito Santo e la Mano Invisibile del Mercato.
Poi se si può avere anche dell’oro e un po’ di gnocca non guasta, perché a casa mia è difficile procurarsene.
Tu non te ne andresti da un posto così?
Sùbito, ma il tuo non è un buon motivo per venire qui e far da padrone.
…uff… “Prendo possesso di questa terra in nome di Dio e del Re …..”, e bòna lé.

Molti anni dopo, al citofono di un condominio di Genova: salve, sono Wah’kkagàh, detto Vù Cumprà.
Sto cercando il Sig. Colombo, sono qui con tutta la mia famiglia e mezza della mia provincia.
Ho appena comprato l’intero stabile e voi dovete sloggiare.
Mi aprite o devo prenderne possesso in nome del vostro Dio e del Libero Mercato?

¹Si tratta di un “messaggio” redatto nel 1512 da Juan Lopéz de Palacios Rubios, giurista del Consiglio di Castiglia, che ogni esploratore o “conquistador” doveva leggere alle popolazioni delle nuove terre scoperte oltre oceano per dare legittimità alla conquista. Il succo è: siamo qui per volere di Dio e del Re di Spagna. Sottomettetevi, convertitevi e fatevene una ragione, altrimenti vi sgangheriamo. Va da sé che li hanno sgangherati a prescindere.

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