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Soldati atomici

Tempo di lettura: 25 minuti

Il racconto contiene diversi riferimenti di stampo razzista comuni al tempo in cui la storia è ambientata, nessun ideale del genere è ritenuto vero o promosso ma è rappresentato dall’autore per veicolare un messaggio. Il lettore è ritenuto avvisato.

  • Male, male …

Il sole sta andando a spegnersi sopra l’orizzonte, dietro il profilo delle montagne. Un bulbo di lampadina alla mia sinistra che brucia chimicamente, che arrossisce la polvere del deserto e ingoia gli ostacoli nella sua pittura arancione. La luce, sparata sopra i sacchi delle trincee, sbianca alcuni rilievi delle cuciture, pulendo la iuta e tramutando il marrone roccia del sacco in un riflesso simile a quello di un bengala.

  • Proviamo.

Do un calcio. 

Un tonfo sordo.

Una bozza resta in vista dove l’ho colpito. Crea una protuberanza d’ombra sulla tela.

  • Non va bene, non va bene …

Estraggo la penna e annoto che la qualità della sabbia e della iuta di cui siamo stati riforniti è pessima. Che dico pessima, assolutamente obbrobriosa! Come si fa a fare una trincea così, senza del materiale di qualità? Almeno sacchi più robusti, pale più dure, contrafforti. Robe così anche i jap le facevano bene. Dio, quanto le facevano bene. A Iwo avevano scavato un grumo di buchi infiniti quei maledetti bastardi. Topi sia nei denti che nel comportamento.

  • Siiiignooore  …

Seguo la voce.

Il soldato William Kraus sta seduto nella trincea, l’elemento che copre il viso, la canottiera bianca macchiata di polvere rossa. Accanto a lui il soldato Jan Wójcik seduto a pulire gli stivali, il viso massiccio e pelato. 

  • Sta perdendo tempo con quella roba, le dico questo.

Quella odiosa cantilena texana  …

  • Soldato Kraus, non sapevo che l’avessero promossa in un pomeriggio a Generale delle opinioni utili.
  • Eh, eh, eh. Promozione … quella cosa per qualche newyorkese dal culo di zucchero filato. 

Alza le mani e le mette dietro la testa. 

  • Le dico questo, lo voglio vedere questo centro del mondo, questa America dove vanno tutti. Gli yankee hanno fatto proprio un bel lavoro. Sì, proprio un beeeeel lavoro.
  • Non sei pagato per parlare dixie. Sull’attenti!

Fa segno con la mano sull’elmetto pezzato nel modo della mimetica.

A fare l’amore tra cugini ecco le teste marce che escono. 

Ispeziono nel dettaglio la posizione ancora una volta, i pali dei megafoni energici trionfano tra le postazioni, i cavi in terra che tirano fino ai camion con l’antenna. I ragazzi hanno messo a terra l’equipaggiamento, i fucili M1 Garand che appoggiano il becco contro i muri polverosi delle trincee. Rossi, di tramonto e di sabbia del Nevada.

  • Soldato Lucca e Marchesani.

Alzano lo sguardo verso di me. 

Smettono di chiacchierare e il loro volto scioglie il sorriso.

I capelli ricci e neri di entrambi scombinati come il pelo di un cane. Se non fossero uno grasso coi baffi e l’altro un magro stempiato come uno stecco sarebbero come due fratelli.

Aggrotto la fronte.

  • Armi in mano, non contro il muro. E mettete la sicura.

Eseguono.

  • SIGNORSÌ!

Terroni, gli devi spiegare anche come si tiene un fucile.

Vado avanti nell’ispezione per vedere se ci sono altre cose da denotare prima di firmare il rapporto. Come se non avessi già messo abbastanza. Per fortuna hanno lasciato dei fogli in bianco così posso riportare le mie osservazioni. Dio, quanto ce n’è bisogno! Qui c’è troppa gente non sa fare il proprio lavoro. 

Vedo una figura che passa tra i diversi solchi dove gli elmetti scintillano. Il mormorio della truppa sempre più all’ombra delle trincee.

Il caporale Ryan McBeth mi compare difronte.

Mascella robusta, petto largo come un armadio.

  • Caporale.

Fa il saluto.

Rispondo.

Finalmente un uomo civilizzato.

  • Caporale McBeth, come sono messe le sue trincee?
  • La disposizione è decente. Gli spazi delle trincee sono larghi e di lunghezza giusta. I muri però sono da rafforzare, si sbriciolano facilmente e se durante il test dovesse piovere non ci sono canali di drenaggio e quindi potrebbero crollare.
  • Concordo.

È il punto 2 dei 15 che ho riportato.

Una condizione assolutamente disdicevole.

Mi guardò attorno.

  • Dov’è il caporale Katzenelson? 
  • Non saprei, si è allontanato con una jeep.
  • L’hanno chiamato a rapporto?
  • Non penso.

Itzhak, Itzhak … sempre a combinarne una delle sue. Che genio impareggiabile!

Sorrido.

  • Certo che non lo puoi incollare da nessuna parte. 

Sorride anche McBeth, gli occhi bassi.

  • Sì, penso di sì.

Ora che ci penso, le derrate alimentari di domani dovranno essere spedite in trincea. Come facciamo a conservarle fino a pranzo? Non possiamo portarle con noi tutto il giorno e non possiamo tornare a prenderle fino alla base.

Da segnalare, da segnalare assolutamente!

Affilo la penna sul foglio mentre scrivo questo nuovo appunto.

  • Cosa stai facendo?
  • Uhm  …

Scrivo, scrivo.

  • Sto scrivendo  …
  • E  … cosa stai scrivendo?
  • La relazione.
  • La relazione? Quale relazione?
  • Quella che hanno chiesto di compilare sullo stato della posizione.
  • Intendi la lista di punti da verificare?
  • All’incirca.

Una variazione sul tema è sempre ben accetta. Specie se mostra la competenza e la responsabilità dei propri sottoposti.

Rimbomba un motore nel tramonto. Una turbine di fumo frulla sulla strada dietro ad una jeep con tre persone a bordo. Il copilota tiene il berretto stretto in mano, una pipa in bocca, occhiali da sole. Sorride. Sorride come il terzo uomo trasportato con l’elmetto allacciato al mento. Impassibile, invece, il pilota.

Ma quello  …

  • Sarà lui?
  • Penso di sì. 

La macchina si avvicina alle apparecchiature, sfreccia accanto ai camion piantanti nel suolo, le gomme a metà dentro la sabbia. Arriva fino a dove la strada da una curva per poi allontanarsi all’infinito.

Inchioda.

I passeggeri proiettano il petto in avanti.

Rinculano sugli schienali dopo la frenata e il caporale Katzenelson slaccia l’elmetto e salta dalla jeep stampando le suole per terra. Saluta i piloti che sfrecciano lontano dalle trincee proseguendo inesorabilmente lontano da qui. Il caporale si avvicina con il suo nasone e la bocca grande da bravo ebreo furbacchione.

Sorride, sorride molto meglio di Ryan, sorride per davvero. Gli occhiali da sole neri.

  • Miei gentili adorati!

Facciamo il saluto, il caporale McBeth addirittura gonfia il petto come un tacchino.

Ci abbraccia entrambi con l’energia di un gigante, benché sia magro con le dita affilate come fusi.

  • Siete fortunati che non siamo sotto Pesach o mi sarei dovuto purificare dopo aver toccato dei maiali come voi!

Ci molla e comincia a guardarsi attorno.

Infila la mano nella tasca della borraccia che gli sta a penzoloni alla cintola e la svita girandola come una trottola. Un sibilo di sfregamento e un tintinnio finale all’apertura.

  • Sentite  …

Avvicina il becco alle mie narici.

Un odore fortissimo di alcool, di legno, legno giovane, dolce.

Bourbon!

La gira sotto quella patata di naso di McBeth.

Gli brillano gli occhi.

  • Ma è Whisky!
  • Shhhh, piano irlandese. Non è stato proprio ottenuto legalmente. Puoi fare un giro se vuoi.
  • Oh, grazie Itzhak. Sláinte! 

Tuffa la sua bocca e beve un profondo sorso.

Capirai, mai chiedere ad un irlandese di bere, potrebbe iniziare da una birra e finire con le tue lacrime.

Il caporale Katzenelson riprende velocemente la borraccia.

  • Rallenta patatino che ho solo questo.

Fa per offrirmelo.

Lo declino.

  • Non mi pare il caso.
  • Oh, beh non si dica che noi ebrei siamo tirchi.

Rinfodera la borraccia.

Respira profondamente togliendosi gli occhiali e stropicciandosi le palpebre. 

  • Uff, che stanchezza, che stanchezza  …

Li rinfodera subito dopo.

  • Che si dice Richard?

Stringo i lineamenti del viso.

  • Come lei sa, caporale Katzenelson, appena il sole tramonterà, inizierà il test e io sono stato scelto per controllare lo stato delle trincee della nostra sezione in vista di questa esercitazione. Lei ha qualche osservazione da fare a riguardo?

Resta interdetto, gli occhi nascosti dietro le lenti nere plasticate.

  • Ehm … no.
  • Molto bene.

Al solito nessuno mi da una mano! Devo fare tutto io qui?!

Mi giro per ritornare all’ispezione. Il tramonto sta spegnendo il sole dietro le montagne che, ormai sempre più scure, paiono più cartone che di terra del deserto. I cespugli di erbe arroccati accanto alle fosse vibrano un po’ per un leggero vento fresco che accarezza la superficie della nostra postazione.

Il caporale McBeth procede insieme a me stando alla sinistra, sempre petto gonfio e mascella orientato lontano.

Il caporale Katzenelson sguiscia alla mia destra, passo ciondolante, mani in tasca e testa verso l’alto.

  • Ryan, è così da tutto il giorno?
  • Sì.
  • Ma scusa, non erano delle semplici domande a risposta multipla?

Vedo la sua testa nel mio campo visivo.

  • Ma quanto hai scritto?!

Allontano la cartella tirandola verso sinistra.

  • Fatti gli affari tuoi!
  • Va bene, va bene.

Alza le mani al cielo.

  • Mi arrendo Caporale Commisso, faccia ciò che vuole.
  • Appunto, non è la terra della libertà l’America? Ecco, lasciami questa libertà.
  • Va bene, t’ho detto. Mi stavo solo chiedendo cosa stessi scrivendo su quei fogli? C’è una sezione in cui si possono aggiungere i commenti personali?

Scrivo come il morale delle truppe sia discreto e come questo possa essere una motivazione per il pessimo stato delle trincee.

  • Adesso sì.

Il caporale Katzenelson ride.

  • Va bene Richard, come vuoi.
  • Scusa Richard  …

Mi giro verso il visone del Caporale McBeth che mi guarda coi suoi occhi vitrei.

  • … sei sicuro di essere la persona giusta per questo lavoro? Non mi fraintendere  …

Muove la mano come per calmarmi, come se fossi un cane!

  • … penso che tu sia una persona seria e diligente, ma se ti avessero ritenuto all’altezza di un compito così ti avrebbero dato delle istruzioni, no? Certamente non ti avrebbero lasciato delle pagine bianche.

Tsè, stupido irlandese!

  • Nessun ufficiale ti dirà mai come sparare o a chi sparare o come cagare. Ci devi pensare tu!
  • Ma questo non è sparare ad un jap, Richard.
  • Già, Richard. Che poi, da bravo italiano, non è che sei proprio famoso per la tua attenzione e precisione …

Mi giro verso di lui.

  • Fottiti Katzenelson!

Accelero il passo. Coglione di un ebreo di merda! Nasone maledetto! Non poteva restarsene a casa a fare l’avvocato o roba del genere invece di venire qui a rompermi i maroni.

  • Beh, almeno qualcuno l’ha preso seriamente il compito.
  • In che senso, Izhak?

Continuo a fissare le trincee e noto che alcune sono state realizzate più in profondità di altre.

Segno subito.

Il caporale Katzenelson si scrocchia le dita alle mie spalle.

  • Altrove hanno riempito semplicemente quei quadratini senza neanche guardare.

D’altronde che vuoi fare di più? Hanno già pensato a tutto gli scienziati. Tutto calcolato, tutto schematizzato, categorizzato, indicizzato e inquadrato dentro una serie di equazione e calcoli.

Giuro. Un mio amico fa la guardia dove lavorano e mi ha fatto entrare. A parte che puzza di inchiostro e gesso da far paura, di base, ma per il resto c’erano fogli e fogli di numeri. Uno sulla distanza, uno sul clima, uno sul luogo … incredibile! 

McBeth tossisce. Colpa della polvere.

  • Quindi tu ti fidi di quelli?
  • Eh beh, certo!

Lo sento squassare il collo. Hanno accelerato il passo e compaiono alla mia altezza.

  • Io no. Sono gente strana.
  • Stana?
  • Sì, strana.

Katzenelson ride, la bocca semiaperta e il viso al cielo.

  • Che c’è, temi che in realtà siano dei diavoli?!

Fa le corna con gli indici sull’elmetto.

McBeth sgrana gli occhi. Tira fuori la collana da sotto la camicia e la bacia la croce con uno schiocco.

  • Non dirlo neanche per scherzo!

Che discorsi stupidi che fanno! Guardo nuovamente le linee e ricontrollo gli appunti, la penna colpisce la pagina al ritmo degli scarponi. 

  • Non dirlo, chiaro?!
  • Dai Ryan, sei troppo intelligente per credere ad una cosa simile.
  • Sono troppo intelligente per non pensarci! Chi ti dice che questi non siano malvagi?

Io li ho visti bene. Giravano con la loro giacca e cravatta, magri e pallidi come dei fantasmi. 

Rotea le mani. Vedo di sguincio che le fa girare ad altezza petto.

  • Fermavano le persone, facevano domande e scrivevano su delle tavolette come quella di Richard. Robe strane, su cosa mangio, su come sto quando mi sveglio alla mattina …
  • Le cose che ti chiede ogni dottore quando vuole sapere come stai.
  • Sì, ma io sto bene. Perché me lo chiedono?
  • Fa parte del test. L’hanno chiesto anche a me, ma non mi è sembrato così strano.
  • Per me era strano, strano davvero. In quale test militare ti chiedono tutte quelle cose? Seriamente, in quale?

Il caporale Katzenelson si gratta il collo.

  • Boh, che ne so io. Non sono mica laureato io, devo già ritenermi fortunato di essere vivo dato che i miei nonni sarebbero potuti morire anni fa durante un pogrom. So solo che quella è gente che sa. Io mi affido a loro esattamente come un ferito si affida al medico che lo curerà.
  • Ma l’uomo è fallibile, ricorda.
  • Vero, ma una infezione non curata è morte certa, mentre una curata no. 

In più il progresso ha reso sempre più accurati gli strumenti dei dottori e gli studi sono talmente tanti che ogni errore o è minimizzato o verrà corretto nel prossimo futuro.

Pensaci! Quando i miei nonni sono arrivati qui non c’erano metodi efficaci nemmeno per anestetizzare prima di una amputazione, ora siamo in grado di anestetizzare e curare le infezioni di una persona. Nel mentre, giusto perché ci andava, abbiamo imparato a volare in cielo e trasmettere addirittura delle immagini. 

Questo è il progresso! Un costante miglioramento dell’uomo con l’uso della tecnologia. Mi basta sapere che essendo qui ne saremo parte per esserne felice.

  • Sì, progresso, certo  …

Un silenzio imbarazzante riempie l’aria.

  • Dove sta questo progresso poi me lo devono ancora dire?

Perché McBeth non se ne sta mai zitto.

Il caporale Katzenelson tossisce.

  • Non lo vedrai ora, avverrà se va bene tra 20 anni o giù di lì. Ti faccio vedere.

Tira su la manica.

Un orologio da polso argento brilla sorretto da un laccio di cuoio. Osservo.

Tre quadranti interni e un simbolo di un’ancora e un paio d’ali dorate troneggia in alto.

  • Lo vedi questo? E’ un Breitling. Roba di ultimissima generazione. Svizzero, ovviamente.

McBeth borbotta perplesso mentre cerca di guardarsi attorno circospetto.

  • Sarà costosissimo. 
  • Nah, era gratuito. Sempre se, beh, sai cogliere le offerte.

L’ha rubato, l’ha sicuramente rubato.

  • Tornando a noi. Mio nonno raccontava spesso a mia madre di un enorme orologio a Praga, gigantesco, vecchissimo. In meno di 100 anni siamo riusciti a copiare quella macchia e metterlo in un polso. Pensa in 20 anni che cosa potrebbe sostituirlo!

Il caporale McBeth respira per rilassarsi, mentre il caporale Katzenelson  nasconde l’orologio.

  • 20 anni?
  • Boh, giù di lì.
  • Quindi dici che in 20 anni da oggi si sentirebbe il progresso?
  • Oh, sì, quello certamente!

Annuisce.

  • E allora dove sta il progresso di 20 anni fa? 
  • Tsé, certo che c’è, ma non lo vedi. Colpa della scuola, ovviamente. Pensa ai medicinali, fino a poco tempo fa si moriva di infezione o si soffriva come cani, come ti ho detto. Ora, una pasticca di penicillina e della morfina  …

Schiocca le dita.

  • … e via che si va. Come nuovi.
  • Ti sei dimenticato come questo sia stato alimentato dalla guerra più sanguinosa della storia dell’uomo. Anzi, di come il progresso abbia resto questa guerra la più sanguinosa della storia dell’uomo.

Altro silenzio assordante.

Non li vedo più e mi fermo anch’io col petto orientato alle trincee, alla mia sinistra loro due in lontananza, non più di un paio di metri, a portata d’orecchie. Butto uno sguardo verso di loro, il petto del caporale McBeth troneggia su Katzenelson, il tutto colorato dal rosso del tramonto divenuto un po’ più scuro. 

Il caporale Katzenelson si drizza. 

Pareggia l’altezza di McBeth.

  • Giusta osservazione.

Estrae qualcosa dalla tasca interna della giacca, una sigaretta. 

  • Vuoi?
  • No.
  • Uhm … ok …

Si mette la stecca bianca in bocca.

  • Caporale McBeth, sa che le guerre sono sempre esistite, vero?
  • Certo caporale Katzenelson, ma un tempo erano fatte con le spade e morivano i nobili e cavalieri, ora sono fatte con bombardieri e carri armati e a morire sono i poveri. 
  • Sì, già  …

Si toglie gli occhiali. 

I suoi bulbi brillanti, tondi, risaltano incredibilmente sul viso, che da così magro sembra rinvigorirsi improvvisamente.

Accende la sigaretta.

  • Ogni cosa ha il suo prezzo e lei lo sa bene. La scorsa guerra è stata un macello, è vero, ma è stata combattuta per un nobile scopo, ovvero la libertà del mondo dal nazismo italiano,  jap e crucco che, tra parentesi, la scienza non ha creato. Però se non sbaglio è stata la tecnica superiore alleata a farla finire. Il progresso ha risolto un altro problema che l’uomo si è creato da solo. E non solo quello.

Compie una boccata profonda e sbuffa fumo. 

La nuvola emessa appare nera in controluce, dello stesso colore come la piccola lingua scura che esce dalla sua sigaretta e vibra salendo verso il cielo.

  • I miei nonni sono morti di colera. Erano su una nave chiamata Moltke, dove scoppiò una pandemia.

Mi getta un’occhiata.

Distolgo lo sguardo. I suoi bulbi affilati echeggiano nella mia mente.

  • Però oggi nessuno muore più di colera, giusto? Degli scienziati hanno fatto le loro ricerche ed eccoci qua. Un problema naturale che da sempre è esistito improvvisamente ha smesso di esistere. Quanti bambini sono stati salvati così? Quanti bambini che prima non vedevano nemmeno la maggiore età sono stati salvati? 5000 e più anni di umanità schiavi delle malattie ed ora  … puf!

Katznelson sorride e fa un altro tiro.

Il caporale McBeth non si muove di un millimetro. Il sudore sulla mascella sta tramontando con le stesse tonalità delle luci del sole.

  • Sai … mio padre di questi scienziati mi ha raccontato una cosa interessante, ora che ci penso. Quando era giovane, dovendo guadagnare qualche soldo, faceva da assistente ad un vecchio prete per l’Arcidiocesi di Seattle. Lo portava a fare una passeggiata, lo aiutava con la funzione del giorno, cose così. Questo sacerdote andava a celebrare la messa per gli operai che lavoravano alla domenica, quelli che lavoravano per il tuo amato progresso. Sai vero che c’erano anche dei bambini lì dentro? 

Alza la mano.

Unisce e dilata l’indice dal resto della mano.

  • Alcuni senza dita.

Abbassa il palmo.

  • E’ vero che i bambini lavoravano anche prima, ma mai così tanti e mai così miseramente. Orde, orde di bambini che riempivano i filatoi. Ce n’erano centinaia nelle filature perché solo le loro mani piccine potevano far funzionare quelle macchine.

Certo, puoi dirmi che se mai il progresso ha creato dei problemi, questi erano o un’applicazione sbagliata o un incidente di percorso.

Scrocchia il collo. 

Un brivido nella mia schiena.

  • Però mi ricordo bene che sono stati loro a dire che esistono delle razze superiori e inferiori e mettere delle persone dentro degli zoo. Alcuni per completezza, oltre che ai negri, ci hanno messo dentro gli ebrei come te, gli irlandesi come me o italiani come Richard. 

Italiano? Io?

  • Questi li ha creati la scienza. 

Tsè, a malapena di cognome.

  • Prima il concetto di razza non c’era. 

Io non sono italiano, non lo sono.

  • Sono stati loro ad ispirare un certo imbianchino tedesco con i baffetti. Dalla scienza arriva il razzismo.

McBeth irrigidisce la mascella.

Io sono americano! Americano di Brooklyn.

  • Tutto a causa delle menzogne di quel Darwin, che ha convinto di questa idiozia tutti i tuoi amici scienziati e quei signori e industriali che più che alla vita dei loro impiegati tengono ai soldi che il tuo progresso può dargli.

E ce ne vuole per far parlare un cattolico come un commies!

Il caporale Katznelson borbotta. Sembra che stia ridendo.

  • A quanto pare non mi ha ascoltato McBeth. Tutto quello che hai detto c’era già prima del nostro progresso contemporaneo e come il progresso li ha alimentati, il progresso li ha fermati perché adesso si sa che le razze non esistono. “Progresso” si chiama così perché “progredisce”, va avanti ed eventualmente corregge i propri errori.
  • Ma quanto puoi correggere i tuoi errori? 60 milioni di morti non possono essere resuscitati se non alla fine dei tempi.
  • I rischi fanno parte della vita, scienza o meno. Dovremmo bloccare ogni ricerca e ogni esperimento?
  • Perchè no? Meglio aspettare che le scoperte siano mature e ben valutate prima di rischiare la vita di qualcuno.
  • Con il rischio di rallentare a catena finché una scoperta che potrebbe salvare delle vite verrebbe realizzata in 100 anni e non 10? Ti rendi conto di cosa stai dicendo!
  • Certo, peccato che i morti non si possono curare! Nessuna innovazione scientifica salverà mai l’umanità!
  • Come nessuna religione ha mai curato nessuno.

McBeth si avvicina.

Muscoli tesi.

  • Quindi è questo il punto! Tu non sei a favore della scienza, ma contro la religione e basta.
  • Ah, li riesci a separare? Senza la religione, la scienza sarebbe progredita più velocemente. Non ci sono dubbi!
  • Intendi che ci saremmo fatti 3 o 4 guerre mondiali invece di 2?
  • O nessuna. Perché saremmo progrediti oltre. Avremmo potuto modificare la specie umana fino a non avere non solo più malattie, ma anche persone talmente intelligenti che avrebbero capito che delle guerre mondiali non avrebbero portato a niente. 
  • Sì, tutti belli, alti, biondi e dagli occhi azzurri.
  • Eh, beh, meglio se belli. Così nessuno sarebbe più insicuro del proprio corpo.
  • Perchè meglio avere un corpo che sposi le nostre ambizioni, che una mente che ammetta che siamo solo dei sacchi di carne con una piccola anima. Il progresso non ha portato nessun miglioramento nella vita di nessuno. Ha curato al massimo dei corpi e mai nessuna persona. Tutta questa ricchezza non ci ha reso più felici, al massimo più sani.

Al contrario, la religione ha dato consolazione a milioni di perso-

  • O li ha solo bloccati nella miseria! 

Il caporale Katznelson gli pianta gli occhi addosso.

  • Ammettilo. Vivi nel sogno beato di un dio padre che ti dice cosa fare e non fare e godi di questa sicurezza.

Svegliati! E’ tutta una balla! E’ l’umanità che ha creato Dio e le altre divinità, non il contrario.

  • Perché la scienza chi l’ha creata? 

Katznelson smette di ridere. McBeth aggrotta la fronte.

  • La sola differenza è che se la religione ha prodotto al peggio le crociate, la scienza ha quasi annientato l’umanità. Due volte.

Katznelson scatta.

Tira un pugno a McBeth.

Il cranio che gira.

Lo vedo raddrizzare gli occhi come se niente fosse, perfettamente cristallizzato con alle spalle un sole morente. 

Il caporale Katznelson sgrana gli occhi spaventato.

McBeth stringe il pugno destro.

Le vene in evidenza.

  • SILENZIO!

McBeth e Katznelson si girano verso di me, mentre mi avvicino con due passi.

Sento le parole risalire da sole.

  • Vedo che vi piace discutere mentre la gente lavora! La volete una bella considerazione sulla vostra discussione?!

Passo dagli occhi di uno a quelli dell’altro.

  • Parlate di religione, scienza, come se fossero qua.

Faccio segno con la mano sopra la nostra faccia, palmo in alto.

  • Quando si trovano qui.

Muovo il polso all’altezza del petto, palmo in basso.

  • Forse non Dio o delle leggi matematiche, ma chi le usa sì. Voi pensate di trovare sicurezza in qualcosa di esterno, una certezza che guidi la vostra vita, ma siete voi e restate voi i responsabili delle vostre azioni.

Tutto è nelle mani dell’uomo, del singolo uomo, tutto è sua responsabilità, non certo di altri. Quello che noi possiamo fare è smettere di accusare qualcos’altro per colpe che sono nostre, rimboccarci le mani facendo quello che serve. Il che significa nel nostro caso, obbedire e contribuire con un educato dissenso quando serve.

Cominciando da queste trinc-

Delle jeep compaiono rombando oltre le spalle del caporale Katznelson e passano oltre i container e i camion fino a rallentare e uscire dalla strada incrociando nella mia prospettiva vicino all’attaccatura del collo con le spalle di McBeth.

Le vertebre mi si irrigidiscono. 

Il generale!

Mi giro verso i soldati Kraus, Wójcik , Lucca e Marchesani. 

  • C’è il generale! SOLDATI, FUORI DALLE TRINCEE!

Guardo McBeth e Katznelson mentre i miei escono per posizionarsi sull’attenti.

  • Dai vostri uomini! Ora!

Corrono verso le loro postazioni mentre, gonfiando i polmoni, mi avvio a passi veloci verso la jeep del generale Johnson. Gli ufficiali scendono da un’altro mezzo per correre a controllare che sia tutto a posto.

Il pilota frena poco prima di me e io mi avvicino alla parte destra dell’abitacolo.

Un po’ di sudore freddo di emozioni.

  • Generale Johnson.

Saluto.

Risponde pacatamente.

  • Caporale …

Avvicina gli occhi alla mia divisa.

  • … Comaiso! Era lei il sottufficiale incaricato del controllo?
  • Sì, signore.

Sarebbe Commisso ma meglio non dirgli niente. Il mio cognome non conta nulla, è importante che veda il rapporto e prenda provvedimenti.

Porgo al generale la cartella con i fogli.

  • Ecco generale.

La prende e comincia a scorrere i fogli fino ad arrivare alle pagini finali.

Le grandi sopracciglie che si incurvano leggermente.

Mi scappa un sorriso incontrollato.

  • Vede generale … io mi sono permesso di scrivere delle osservazioni, una o due non di più.

Il generale chiede ad un suo assistente qualcosa. Una penna scintillante viene stappata e messa nella mano destra del generale. Un piccola lancia affilata.

  • Noto che è stato solerte nel suo rapporto, Caporale Comaiso.
  • Sì, certo, sì.

Scrive qualcosa sul documento. Appunti, considerazioni? 

Devo dire qualcosa!

  • Ecco vede … le trincee non sono in uno stato, come dire, ottimale. I rinforzi vanno rinforzati, le linee poi sarebbero vic-

Mi passa indietro il documento.

  • Non si preoccupi caporale, è tutto sotto controllo. Vada in posizione.

La jeep riparte e si dirige verso i soldati facendo un’ampia inversione. 

Guardo i fogli degli appunti.

Qua e là compaiono, con una tonalità più scura, correzioni grammaticali. Qualche “s”, qualche nota, una frase cancellata e sostituita con una forma più adeguata, un punto interrogativo accanto ad un paragrafo identificato da due colpi di penna …

Il generale si alza in piedi.

Tutti i soldati si mettono sull’attenti.

Anch’io lo faccio.

Mi ha corretto come se fossi uno studente.

  • Riposo.

I muscoli vengono rilasciati. 

Non l’ha anche considerato seriamente.

Il generale Johnson posiziona le mani dietro la schiena, dove ormai resta solo un barlume della luce del giorno.

  • Tra esattamente 1 ora il test inizierà. 

Mi ha trattato come un bambino.

  • Anche se il sole sarà tramontato, mi raccomando di non guardare verso la luce e di coprirsi gli occhi con le mani o col gomito.

Uno che non vale niente.

  • Ci sarà un conto alla rovescia e, successivamente, dovrete aspettare gli ordini.

Che non conta.

  • Tutto compreso, signorine!
  • SIGNORSÌ SIGNORE!

Il generale annuisce.

  • In posizione! Ora!

I soldati corrono alle loro posizioni tuffandosi dentro alle trincee e io mi avvicino alla mia.

Forse è meglio così, sì meglio così. Cosa ne posso sapere io? Che posso farci? Non sono certamente in grado di fare meglio di un generale. Certamente, sì, certamente. Uno distratto come me cosa può fare di meglio, non riesco nemmeno a scrivere un rapporto grammaticalmente corretto. Sì, mi devo fidare, potrei fidarmi. Cosa posso fare? Non sono all’altezza.

Scendo dentro e mi posiziono accanto a Lucca che mi passa l’M1 Garand. Kraus alla mia sinistra.

  • Che c’è caporale polpetta? Stanco per aver fatto camminare il tuo cane irlandese ed ebreo?

Lo fisso.

I denti stretti.

La fronte aggrottata.

  • Taci crucco.

Sgrana gli occhi, il gozzo che sobbalza.

  • Come mi ha-

Carico il fucile.

Lo punto sotto il collo.

  • Come cosa, crucco?
  • Ecco … io …

Noto il terrore nei suoi occhi, la paura nella sua smorfia, che trema, che rantola, con occhi lucidi, fissi, sul becco del fucile. Un rumore proviene dagli altoparlanti che guaiscono un rumore gracchiante.

  • Bravo, stai zitto.

Abbasso la canna.

Nel mentre una voce elegante che parla in un inglese pulito chiama l’inizio del test .

D’improvviso, inizia il conto alla rovescia.

  • Meno 60, 59, 58 …

Piego la schiena in avanti e metto le mani di fronte agli occhi. 

Cosa sto facendo? Perchè ho puntato il mio fucile contro un soldato, specialmente il mio subordinato? Sicuramente sarò punti, sarò degradato nuovamente a soldato. Ma chissene frega alla fine, chi se ne importa. Alla fine che posso dire in mia difesa se non che sono stato un pessimo sottufficiale e mediocre al meglio. No, non posso dire niente. Dopo questo esperimento rassegnerò le mie dimissioni e tornerò a casa o forse no, forse potrei andarmene verso la costa orientale, oppure andare in Canada. Sì, me ne andrò, voglio andarmene. 

Magari da qualche parte ci sarà un posto per me.

  • 5 … 4 … 3 … 2 … 

Chiudo gli occhi.

Speriamo che finisca in fretta.

  • 1 … Inizio!

Luce.

Luce dappertutto.

Bianco come il latte.

Delle macchie scure si addensano di fronte a me. Si affusolano, si scuriscono, accavallandosi l’un l’altra. Ma non ho gli occhi chiusi? Cosa sono queste macchie?

Perdo l’equilibrio e metto le mani avanti. 

Tocco il terreno.

I punti neri si sono spostati e allineati.

Sono diventati falangi, pollici, indici, a formare una mano scheletrica. La mia mano. 

Dio  … 

Tutte e due le mani, nero su bianco.

Bruciate.

Dio mio  …

La carne e i muscoli come ombre.

DIO MIO!

Le ossa dell’avambraccio, del gomito!

Sento ansimare alla mia sinistra, in sottofondo un sibilo silenzioso. Mi giro.

Uno scheletro.

Uno scheletro intero!

Torce il cranio.

I vasi sanguigni che aleggiano sui denti.

L’incavo degli occhi e, sbarrati, i due bulbi. Una coppia di ombre sopra il riflesso nero del cranio, un brivido di paura che mi guarda con dolore.

La luce si affievolisce lentamente e la carne torna ad avere lentamente una densità. Progressivamente gli zigomi si gonfiano e coprono le ossa. Attorno ai bulbi ritorna un corpo, un’immagine nota e i colori ritornano improvvisamente, un vivo arancione a rinvigorirsi.

Kraus mi sta guardando.

Le labbra tremanti come prima. Come le mie.

Sento delle grida in lontananza, ombre che si alzano scalmanate.

Un caldo enorme comincia a scaldarmi, un fuoco mi prende le braccia.

BANG!

Un colpo.

Volo.

Contro la trincea.

Le ossa contro la sabbia.

Affondo contro la parete.

Caldo.

Un fischio assordante.

Che dolore! Santo cielo, che dolore! Sento bruciare tutto il corpo, ma la spalla è contorta, sofferente, come se me l’avessero strappata. Metto la mano contro e non sento il liquido del sangue, ma un dolore fortissimo. Stringo i denti e mi appoggio con la sinistra alla parete. Kraus si avvicina e mi prende sotto braccio. Balbetta qualcosa ma forse gli stanno solo tremando ancora le labbra. 

Mi guardo attorno, la trincea alla mia destra è crollata, sotto questa luce sembra una valanga di budella uscite dalla terra. Vedo sopra di me qualcuno, in cima alla trincea. Mi porge le mani e io le prendo.

Sospinto da Kraus, emergo con lo sguardo rivolto alle altre postazioni. Una luce di fuoco ha riacceso il tramonto e sta illuminando un caos apocalittico. Crolli ovunque e detriti di rocce piantate in solchi profondi come i crateri di una bomba, gente che sta male che piange, che boccheggia, che vomita lunghe strisce di conato catarroso. Un fischio assordante nell’aria. Nel mentre incendi, equipaggiamento spaccato, gente che rotola e piange. Leggo il labiale di un soldato seduto in terra, le mani attorno alle ginocchia. Chiama la mamma.

Alla mia sinistra qualcuno fa dei segni. È Marchesani, agita le mani, mi da delle spintarelle.

Ahi!

Mi ha spinto sulla ferita.

Gli dico di smettere. Emetto solo un rimbombo.

No …

Schiocco le dita della sinistra come posso accento all’orecchio. Un rimbombo.

Sono sordo. Sono sordo, cazzo! CAZZO!

Mi viene da piangere, Marchesani che mi abbraccia e mi da degli schiaffi. Non mi sento le gambe, santo cielo, sono sordo ora! Sono sordo, sono sordo! Sudo, sudo, piango, sbavo. Un nodo allo stomaco. 

Kraus sale e ci guardiamo per un attimo.

Vedo la sua enorme preoccupazione, una ferita enorme sulla tempia che gli ha rotto la cinghia dell’elmetto. 

Qualcuno mi corre incontro dal marasma. Ryan e Itzhak arrivano, sciancati e scartavetrati. Itzhak ha il polso bruciacchiato e l’orologio rotto, annerito, appiccicato alla pelle con grumi di sangue. Ryan è messo peggio, la divisa è completamente spezzata e ha il petto esposto, non si vede la sua collanina.

Arrivano da me.

Marchesani mi ha lasciato andare ora che mi sono calmato.

Itzhak dice cose, Marchesani li fa segno che non ci sento, sono sordo … Restano bloccati per un attimo entrambi, finché Ryan non si avvicina. Mi afferra il mento con le mani carnose e mi guarda le orecchie prima una e poi l’altra. Mi mette la mano sul petto e con l’altra fa un segno strano, la chiude e la riapre per poi toccare il polso. 

Che vuol-

Vedo William immobile che fissa l’orizzonte in alto dando le spalle alle nostre trincee e come lui molti guardano in alto con lo sguardo ingessato. 

Lo seguo istintivamente. 

Una sfera di fuoco. Un uovo di lava. Una stella brillante. Enorme come l’orizzonte. Grande, enorme, titanica. Sale verso il cielo aprendosi come un fiore. Sembra un crisantemo. Sembra un carciofo. Ritaglia le montagne, ravviva la sabbia, separa il cielo dalla terra con un bagliore multicolore. Rosa, rosso, viola, giallo, arancione, incapsulato nel fumo nero. 

Sale verso il cielo, inforcando un anello di vapore che si allarga in aria. Cresce, si gonfia, un pallone aerostatico, sale in una coltre di fumo che in cima e generando nuove fiamme che si ossidano in grumi di fumo, un tizzone ardente, e scendono verso i lati fino alla base si accumula in una colonna che continua fino al terreno. Un fungo. Un fungo che sale. 

E sale, sale, sopra di noi, ci copre, ci sovrasta, ci schiaccia con la sua immagine, appallottola il petto, brucia il naso e spreme gli occhi in un oceano di lacrime. 

E noi piangiamo, piangiamo. Sento di nuovo il rimbombo delle voci di tutti che gridano, parlano di qualcosa che non sento. 

Diventano tante macchie colorate cucite in un unico rumore nelle mie orecchie.

Un unico lamento, un rumore multiforme di fronte a questa realtà.

Di fronte a questa realtà irreale che non possiamo controllare.

Soli di fronte all’abominio.

Tra il 1945 e il 1962 furono eseguiti 200 test atomici negli Stati Uniti, allo stesso modo di altre potenze al tempo come Francia, UK e Unione Sovietica. Circa 400.000 soldati hanno partecipato a questi test senza sapere di cosa si trattasse e a distanze proibitive dal luogo della detonazione. Molti morirono di leucemia, tumori e malformazioni varie legate alle radiazioni subite. I sopravvissuti furono chiamati “soldati atomici”.