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I rapporti di suddivisione del potere in Italia hanno preso una decisa piega dal 1994 con il primo governo Berlusconi. Nella storia repubblicana è il governo che per primo ha messo nelle mani dell’esecutivo quasi tutto il potere decisionale e progettuale. Una volta caratteristica dei governi di destra, ora tutti ( o quasi) ammiccano ad un’italianizzazione dei modelli di Russia, Cina e dei paesi governissimi.
Inutile negare che ormai le assemblee, siano esse consigli comunali, regionali o il parlamento, non hanno più tanto potere decisionale, ma si limitano a ratificare senza grandi conoscenze o strumenti gli atti dell’esecutivo. E’ una critica controcorrente e probabilmente condivisa da pochi, ma è quanto di più vero ci avvicinerà al presidenzialismo tra 5 o 10 anni. D’altronde l’operatività e l’esecutività sono aspetti fondamentali in un mondo che corre veloce e nel quale non c’è tempo di condividere le decisioni. I partiti hanno il compito di raccogliere voti e candidati, di fare gli accordi di governo e poi di scegliere chi sarà assessore, ministro o cos’ altro. Una volta che il sistema regge nei numeri, si forma il governo ed esso resterà in piedi fino a quando non ci sarà una scossa abbastanza grande da far sì che si rivedano le cose. Con queste parole, non fraintendetemi, non implico al fatto che si debba stravolgere la realtà degli esecutivi e dei legislativi, ma che i rapporti di equilibrio vadano riportati a quell’idea di costituzione democratica e parlamentare che prevede un ruolo attivo di chi si è calato come rappresentante del popolo. E’ altresì troppo facile vincere l’elezioni e affidare i ruoli di governo a membri esterni o mai sentiti nominare, perché tutti li additano ottime competenze tecniche. Questo sistema porta ad una deresponsabilizzazione della politica, dei partiti e degli eletti che si limiteranno a fare i “giochi di potere” e a tenere sotto scacco un sistema fragile. E’ infatti da sottolineare che squilibrare i rapporti di forza non rende fragile solo il ruolo delle assemblee, ma anche quello degli esecutivi stessi, che non essendo coadiuvati a pieno con chi ha il potere di voto e con la base del partito, rischiano quello che definisco: “l’immobilismo da ricatto”. Non si può sempre contare sul voto di responsabilità, perché è puritano pensare che un parlamentare o un consigliere voti solo nel pieno interesse del paese e non in quello del partito di appartenenza, questo a maggior ragione per i leader. Quando fui eletto a 18 anni nel mio consiglio con una lista da me guidata, furono molti a dirmi che era tutta una “tattica” per diventare assessore, ma era una follia nella mente di chi la politica vera non l’aveva mai fatta. Il pensiero cinque stelle del “diventiamo tutti ministro”, è infatti l’opposto della teoria precedentemente espressa ed è altrettanto pericolosa. La politica è un enorme equilibrio di conoscenza, esperienza, cursus honorum e competenze acquisite con il tempo. Oggi ci troviamo quindi a cavallo di due modelli opposti, ma entrambi maggioritari, che hanno torto a mio avviso. Da una parte abbiamo il calpestio di chi ha ricevuto il mandato di rappresentante e la scelta continua di tecnici, follia che nei comuni è dovuta anche alla scarsissima disponibilità di candidature preparate a causa dei termini economici e dall’altra l’idea che tutti possiamo essere ministri dello sviluppo economico e degli esteri. Io credo invece che vada riportato un equilibrio, economico e di potere tra chi amministra e chi convalida determinate decisioni, ma questo è un peso che cade tutto sui partiti, ormai con i circoli vuoti e sempre più lontani dalle persone. Abbiamo oggettivamente sbagliato qualcosa, il percorso da attivista a segretario, a consigliere, assessore, sindaco, parlamentare si è rotto e con questo il rapporto con la base. É chiaro la politica non dovrà mai essere un lavoro perseguito per 30 anni della propria vita, ma a tratti alterni l’esperienza acquisita nel cursus honorum diventa preziosa se non indispensabile. E’ quindi ormai impossibile non pensare nei grandi numeri di affidare l’operatività a pochi scelti, a scegliere chi diventerà Sindaco o parlamentare ad una pizzata tra amici di partito. E’ altresì inevitabile vedere oggi Ministri privi di competenze e nel domani un popolo che sceglierà ad un’urna ogni 7 anni chi deciderà ogni aspetto della loro vita, con un parlamento piegato e con una costituzione parlamentarista che piange vendetta.