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Riformisti senza casa e portafoglio, tra litigi e poca identità.

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Essere riformisti al giorno d’oggi è come dichiararsi bersaglio fra i fuochi delle parti, un mestiere duro e solitario che pochi hanno il coraggio di intraprendere.

Il riformismo è morto e risorto centinaia di volte, un po’come il rock. I riformisti sono persone diverse, ma la maggior parte è gente tranquilla che si alza presto il mattino, legge molto ed è  apprezzata nel proprio campo di competenza. Additati come professoroni, ai riformisti non interessa piacere particolarmente all’elettorato e seppur dichiaratamente progressisti, non seguono le linee del buonismo dilagante, ma preferiscono parlare con in mano i dati e le opinioni sull’operato. I riformisti non sono mai contenti, perché come nella scienza ci può essere sempre un’evoluzione che porta a migliorare una teoria precedente. Il riformismo non è un pensiero ideologico, ma un modello di fare politica che coinvolge persone con idee diverse nel mondo della sinistra e tra i liberali, di certo possiamo affermare che ad oggi si tratta di una minoranza, ma si sa che nella storia sono spesso state le minoranze volenterose a cambiare le cose. Questa comunità è ormai da tempo senza una casa comune, sparpagliata con una diaspora in partiti grandi e soprattutto piccoli, guidata da leader carismatici, ma privi spesso della capacità di mettere dietro se stessi e davanti le sinergie necessarie per il bene delle idee professate. E’ così che ci siamo trovati non solo minoranza senza casa, ma anche nel pieno di una faida fra sovranismo e populismo, odiati da entrambe le parti per motivi diversi. Dalla destra perché siamo una minaccia a parte dell’elettorato moderato, dalla sinistra perché non si seguono sempre le linee del “bel pensare”. Siamo inoltre rimasti senza portafoglio di voti, perché l’elettorato esiste, ma è frenato proprio da quel personalismo eccentrico di chi oggi ha ancora un po’di sangue riformista in corpo. Serve ricostruire una comunità dal basso, partendo dal voler unire e non dividere, con l’obiettivo di diventare una colonna portante e affidabile del centro sinistra. Questo richiede il coinvolgimento di tutti quei professionisti, volontari e giovani che ormai non credono più di poter incidere nelle scelte politiche, nonostante abbiano dato moltissimo nella vita quotidiana. Il riformismo ha bisogno di un percorso lungo che riparta dalla vita dei territori, se a farlo nascere sarà un accordo per le prossime elezioni, lo possiamo dare già per morto. E’ allora diventerà speranza di tutti vederlo risorgere ancora una volta.