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Fluchtpunkt

Tempo di lettura: 16 min

Il treno ciondola irregolare scarrellando per la campagna di campi, case e tralicci per l’elettricità; trema il terreno attorno ai binari e, man mano che si avvicinano, gli oggetti diventano più veloci, accelerando costantemente fino fondere le forme. Si sbiadiscono le figure sfibrandosi nella distanza, i dettagli persi nella velocità. Un fenomeno interessante … quasi delizioso. Stare lì, a guardare l’incertezza del paesaggio più vicino alla carrozza, mentre l’occhio scioglie i bordi delle forme e mescola i colori in linee parallele. Le ruote che rullano e levigano il dorso dei binari balestrati oltre l’orizzonte, due coppie che-

BUM!.

MIO DIO!

Passa un treno.

Rosso Freccia.

Pulsa sul finestrino.

Scompare.

Un vuoto mi riempie le orecchie.

Mio Dio che … oddio  … questo è un tentato omicidio, tentato omicidio senza dubbio. Mi alzo in piedi, sfiorando la giacca appesa accanto a me. No, no, io mi tolgo dal finestrino. Sposto lo zaino al mio posto e mi muovo verso l’interno della corsia che corre diritta come una strada tra le due linee di posti. Qui è tutto più calmo, decisamente non sfreccia nessun treno. 

Una fila di schienali mi danno il dorso del loro poggiatesta, spuntano delle teste scure. I soli posti rivolti verso di me sono due che stanno di fronte a me, dove non c’è nessuno.

Certo chè non c’è un oceano di gente. Mi aspettavo qualcosa di più, anche se un regionale cosa vuoi che sia. Tutti scenderanno a Reggio e a Bologna per prendere altri treni o torneranno a casa dal lavoro, nulla più. 

Prendo fuori il telefono e scorro le applicazioni. 

E ora una bella serie di canzoni non me la leva nessuno. Linkin Park, scelgo te!

Un brivido.

Mi scrocchio il collo di riflesso. 

Uff, devo smetterla di fare così, rischio di farmi venire i reumatismi in anticipo.

Mentre mi massaggio le spalle, noto una macchia chiara  … una chioma.

In linea d’aria c’è una ragazza seduta con delle cuffie bianco latte che sta guardando il telefono, rivolta verso di me. Quindi ci sono altri posti rivolti nel senso opposto, come ho fatto a non vederli prima, come ho fatto a non vedere LEI prima.

Le guance dolci, lisce, che dalle palpebre scendono morbidamente fino alle labbra chiare. Hanno quel colore rosaceo degli angeli. 

Muove una mano.

Guardo altrove.

Che bellezza inaudita! Meravigliosa! Non ci posso credere che una creatura del genere possa esistere? 

Attendo qualche secondo e la guardo di nuovo.

I suoi capelli! Biondi, di quel biondo che tradisce un fiorire di riflessi multiformi, quel biondo vero; le ciocche con colorazioni di diversa sfumatura, più scura al centro e via via sempre più chiara andando verso le punte, così chiare che si perdono nel maglione bianco a collo basso, morbido come un ciuffo di cotone, ma stretto a sufficienza da incastonare, tra le spalle, il seno.

Alza la testa.

Occhi azzurri.

Guardo le cappelliere.

Abbiamo incrociato lo sguardo. Adesso sa che la sto guardando! Oddio! Come faccio? E se chiamasse il capotreno per cacciarmi? Che figura! Però non è detto  … può darsi che l’abbia scambiato per una casualità. Dai, non sarò l’unico a guardare in giro in treno. Uno sguardo incrociato, cos’è? Niente! Ecco, niente. E poi non è mica un crimine, su!

Sporgo lo sguardo, ancora. 

Rivedo i capelli, il viso, il maglione bianco, per poi far cadere gli occhi sui pantaloni di jeans, un blu chiaro che si sposa deliziosamente coi suoi orecchini, due lacrime di brina appoggiate sulle orecchie. Le gambe incrociate che terminano con degli scarponi marroncini come la sua cintura. Un piccolo anello di pelliccia finta che danza attorno alla caviglia. Che non smette mai di saltellare. Ripetutamente.

Si ferma il piede e la gamba viene abbassata per terra. Si alza in piedi. Snella si infila nel corridoio. 

Sta venendo qui … Dai, può essere che debba andare in bagno, è alla fine della carrozza dietro di me. Ci sta, il viaggio è lungo, la ritenzione idrica è medicalmente sbagliata, si vanno incontro a diverse-

Si ferma.

Mi guarda.

  • PERCHÈ MI STAVI GUARDANDO?!

Gridato, a pieni polmoni.

Rimbombando nella carrozza

Magia finita, sono fottuto …

Inarca ancora di più le sopracciglia e mi uccide con gli occhi.

Oddio, E ADESSO CHE CAZZO GLI RISPONDO?!

Se vado con una lode tipo “perché come tutti i girasoli devo guardare il sole” sembrerebbe che sono il solito cascamorto ridicolo. In una parola, cringe.

Se gli rispondessi “guarda, avevo finito i tralicci da guardare” sembra che stia facendo il falso distaccato, ma beccato con le mani nella marmellata. Di nuovo, cringe.

  • Quindi?

Ehm  … EHM  …

  • Sto aspettando …

ODDIO … eh … sì!

  • Perché sei bellissima e non riuscivo a distogliere lo sguardo.

Verità, andiamo di verità. La verità in posizione d’attacco!

Increspa le labbra.

  • E ,e lo dici così?

ANNULLARE! ANNULLARE! Una cazzata è stata sparata! Una cazzata è stata appena sparata!

  • Ehm, ecco  … io  … stav-
  • Stavi fisso a guardarmi perché sono bella e io sono venuta qui e tu mi hai detto, senza vergogna, che mi stavi stalkerando?

Life points: 0.

Fatality.

Team Rocket-se-ne-va-alla-velocità-della-luce.

Chiude gli occhi.

  • Sì, è vero, sono bellissima!

Sorride a 32 denti.

E SI VINCE COSÌ! WOHOOO! Great success!

Ehi, ma dove sta andando?

Noto che è tornata indietro al suo posto e sta tornando con una valigia a rotella, una giacca bianca col collo di pelo e una borsa bianca, la lampo segue una linea curva e termina su due anelli d’una catena d’oro che corre sulla sua spalla. Mette la valigia sopra nella cappelliera, la borsetta sulla sedia esterna di fronte a me e la giacca sull’appendiabiti.

Si siede nel posto vicino al finestrino, la schiena appoggiata contro la parete esterna, il braccio sinistro lungo la maniglia, rivolta verso di me.

  • Non ti dispiace se mi metto qui?
  • Oh, no, no …

Ma lo sta facendo a posta?

Emette un vagito di soddisfazione.

  • Sì … qui si sta belli larghi!

Con la punta dei piedi si sfila le scarpe che cadono a terra come due animali pelosi. Distende le gambe lungo i due posti, schiacciando la borsa contro il sedile. Le calze a fantasmino che alzano il bracciolo esterno per distendersi meglio.

Ma che ha, i piedi prensili?

  • Di dove sei, tu?

Così? Me lo chiede così, dopo essersi spaparanzata a caso di fronte a me?

  • Io … ecco … 
  • Dalla tua “s” sembri emiliano. Sei emiliano?
  • Ehm, sì. Formiginese.

Contrae la fronte.

  • Formi-ché?
  • Di Formigine. E’ una città in provincia di Modena.
  • Aaaaah, Modena. Ferrari, giusto?
  • Sì, certo.

Anche se sta a Maranello, ma non penso che le importi.

  • Io sono di Milano. La peggiore città del mondo!

Un modo molto pittoresco di introdursi, anche se devo dire che lamentarsi di Milano è molto milanese. Anzi, dico di più, da milanese di periferia di ascendenze meridionali.  

  • Mi chiamo Chiara, Chiara Russo.

Cosa ho vinto?

  • Tu sei …
  • Io … mi chiamo Andrea Esposito. Piacere.

Ma mia nonna fa Modena di Cognome, bilancio le mie ascendenze paterne abbastanza bene.

  • Andrea … bene. 

Muove la sua testa in forma di assenso.

  • Andrea, guardi sempre le belle ragazze come uno stalker?

EH! CHE? IO-

  • No, no, no, io-
  • Sì, lo so che non sei uno stalker, l’ho detto solo per provocarti.

Ma cosa?

Sorride, di nuovo.

  • Sai, un tempo disprezzavo le persone silenziose come te. Li consideravo dei potenziali pervertiti, mi facevano addirittura paura. Per fortuna crescendo ho capito che fosse una cosa molto diversa, la perversione intendo. Ora le persone così mi piacciono pure, proprio perché siete così strani.

E io non so perchè tu invece cominci sempre a piacermi meno. 

  • Il mio scorso fidanzato era proprio così! Sei fidanzato, Andrea?

Scendiamo anche sul personale, ora.

  • No.
  • No? Perché? 

Perché mi hanno tranciato le palle, ecco perché. 

  • Perché non è capitato.
  • Ah, non è capitato? Mi spiace.

Sapessi a me …

Accavalla le gambe con un dolce movimento di danza. Le ginocchia che seguono perfettamente i rilievi delle cosce.

Si gratta il naso.

  • Sai, forse è meglio così. Certo, avere un fidanzato o una fidanzata nel tuo caso, è una cosa molto bella, bellissima. Ti svegli ogni giorno sapendo che c’è qualcuno che ti ama. C’è, mica qualcosa di poco Qualcuno che SAI che sarà sempre dalla tua parte, sempre, che tu faccia una cosa bellissima come vincere un trofeo o che tu faccia una cosa stupida come ubriacarsi ad una cena di famiglia con i nonni.

Ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale.

  • Ed è una cosa bellissima, ti … alleggerisce. Però, sai …

No, non so, sono ignorante dalla nascita.

  • … sai, è quella cosa che ti frega, alla fine. Cioè, cosa ne sai che se quella persona che ami non ti sta tradendo? Non c’è certezza. Magari non lo farà subito, ma dopo, man mano che passa il tempo, oppure, al contrario, non lo farà mai. Ma tu che ne sai? Fai fatica tu a non guardare gli altri ragazzi, perchè lui non dovrebbe sentirsi come te? 

E’ così … umano, ecco. E ti incazzi perché è prevedibile, è prevedibile che avvenga. Il sospetto è terribile però in un certo senso ti arrendi, ma poi ci ripensi e non ti ripeti che non ti puoi arrendere. E così via, fino a quando non incasini tutto. Di nuovo.

Si arriccia i capelli in un anello d’oro attorno all’indice.

  • L’unico modo per non bruciarsi credo sia non avvicinarsi al fuoco, no?

Ma che cazzata!

Quindi, solo perché c’è il rischio che ti tradisca non vuoi fare niente? È esattamente come dire che non salirai mai su una macchina perché potrebbe compiere un incidente. 

Chiara mette le mani dietro la nuca, i gomiti larghi come le punte di due ali di farfalla.

  • Non penso si possa fare granché.

Ma, MA … come non posso fare granché? Non mi hai appena detto che ti immaginavi tutto?

Io non lo so, sarà che sono folle io o è questa tipa che viene qui e mi attacca una pezza infinita.

Chiara gira il viso verso di me.

  • Tu che ne pensi?

Io?

  • Beh, io …

Mi guarda con gli occhi di chi sta aspettando l’alba, un sorriso leggero.

  • Ecco, penso che sia utile … farsi una lista.
  • Una lista?
  • Sì, o scrivere insomma.

Mi gratto il coppino e accarezzo la guancia fino al mento.

  • Penso che sia importante scrivere qualsiasi cosa ti capiti di pensare. Alle volte non capiamo cosa sia vero o falso perchè siamo troppo coinvolti nelle cose che compiamo, come non riusciamo a vedere la curvatura della terra perché siamo troppo vicino alla sua superficie.

Scrivere permette di allontanarsi dai problemi e vedere tutto come è veramente, ma specialmente come sei tu.

Chiara scioglie le mani e le abbassa.

  • Quindi dovrei farmi un diario?
  • Sì, se ti viene spontaneo. Potresti fare anche qualcosa di meno personale, tipo raccontare una storia. Alla fine non importa tanto il soggetto.
  • Non so sai …

La vedo inarcare un lembo delle labbra, l’occhio dalla stessa parte mezzo socchiusto.

  • … non è che mi sia mai piaciuta la letteratura.

Beh, normale.

  • E’ normale: colpa della scuola. Non è mai stata brava a presentare la conoscenza agli studenti, letteratura in primis.
  • Tsè! Di pure che non è riuscita a far piacere un cazzo!

Ciondola la testa con disprezzo, un piccolo spruzzo di saliva velenosa le spunta dalla bocca.

Guardo per terra.

Già …

  • La scuola italiana voleva insegnare ed è finita a spiegare.
  • Esatto!
  • Peccato che dovrebbe educare, aggiungo.

Educare, è questo il punto. Su cosa poi è un altro paio di maniche come problema, ma almeno tentare! Solo che a nessuno della scuola importa niente.

Chiara mugugna qualcosa sotto i denti.

  • … e a nessuno sbatte il cazzo di noi giovani …
  • In una nazione di vecchi non si costruiscono scuole, ma ospizi.

Ridacchia frustrata. Nelle sue pupille la stanchezza comincia a crescere.

  • Sei proprio bravo a filosofeggiare, tu.

Beh, dai bravo, non esageriamo.

  • Me la cavo.

Chiara sposta la sua gamba sinistra e la lascia penzolare un po’ per sgranchirla, il dorso del piede che segue la linea della tibia in un unico tratto.

  • Poveretto chi mette al mondo un figlio oggi. Davvero, sono seria. In che inferno vengono vomitati …

Mi sistemo un attimo perchè la mia schiena sia esattamente dritta sullo schienale.

  • Però quello centra poco con l’averne, siamo noi generalmente incapaci di gestire un mondo così.
  • Tu vuoi averne?

Noto che Chiara mi sta fissando silenziosa. Le gote immobili, marmoree.

  • Di figli, dico.

Ha girato il corpo verso di me, petto e ginocchia che mi puntano. L’orizzonte del suo fianco corre dai jeans al maglione bianco inarcandosi, regolarmente, sul fianco.

Deglutisco.

  • Sì, sì …

Distolgo lo sguardo.

  • … infatti lo stato è e resta criminale ai miei occhi, perché non agevolare la nascita di figli. Questo risulta deleterio, paradossalmente, anche per le persone anziane che si ritrovano senza più un sostegno in famiglia. Senza poi considerare come il nostro sistema sociale si basa su dei cittadini che pagano le tasse e che sostengono un’altra parte, che sia giovane o anziana o disabile o altro. In generale, è una parte della società che aiuta l’altra, ma cosa succede se questo si rompe?

Tutto va in miseria, ecco cosa.

Baumann dice che il mondo liquido in cui andiamo sarà fatto da un gruppo ristretto che seguirà il cambiamento e un altro gruppo che si aggancerà ad un pugno di cose fino a seguire nell’oblio. Nulla di più sbagliato. Senza un concetto comune, la società si è tribalizzata. Ognuno si è fatto il proprio clan con blackjack e squillo di lusso e, invece di vederselo ridurre, l’ha abbellito, l’ha ampliato. Non sono bolle, sono letteralmente mondi paralleli che esistono nello scontro reciproco, partendo da un semplice “no” a qualcosa, per finire ad edificare un intero sistema di “bene” e di “male”.

Non mi stupisce in questo che lo stato vada in malore.

Lo stato è l’etica.

Senza una netta linea tra bene e male, come puoi combattere la mafia, che piaga il meridione e ruba l’ossigeno al settentrione, come puoi creare ricchezza in-

Chiara è stralunata, il viso di chi non ci sta capendo niente.

Ho sparato un pippone, diamine!

  • Sì, i figli, esatto. Socialmente parlando, garantiscono a tutti di poter sostenere lo stato sociale. E’ un modo di curarsi del prossimo, che è oggi è venuto a mancare.

La vedo immobile, le palpebre bloccate. Il collo bianco come il marmo, le mani incrociate sul ventre, lanciata fuori dal tempo in una dimensione estranea.

Si sdraia supina.

  • Che cazzata!

Si stiracchia la schiena con un muggito, scrocchiandosi le vertebre del collo.

Ecco perchè le statue non parlano … 

Sospiro.

  • Va bene …
  • No, no!

Fa come per bloccarmi con la mano sinistra.

  • Non intendo che quello che hai detto è un male, anche se l’ho capito a metà devo dire. Dico che non puoi dire “voglio un bambino” perché “utile”. I bambini si devono desiderare, non usare.  

Eh beh, sì, certo.

  • Sì, l’avevo considerato, sì.

Ride.

  • Ma non detto!

Il sorriso beffardo, infame, risplende di un milione di stelle bianche del cielo. 

  • Per quanto mi riguarda non ne voglio. Almeno ora. Sto andando a Reggio Emilia per prendere un treno per Milano e da lì, prese le mie ultime cose, c’è un treno per Vienna tutto per me!
  • Vienna, bella città.

Leggasi “appartamenti molto economici”.

  • Vai anche tu all’estero, quindi?
  • Sì! Tu, invece, dove stai andando?
  • Monaco, via Bologna.

A Chiara brillano le iridi.

  • Monaco! Io ci sono stata! Miglior trasporto pubblico del mondo, change my mind!
  • E’ vero. Vinci a mani basse con un tram ogni 10 minuti.

Mica come a Modena dove, in periodo festivo, si dimezzano le corse. D’altronde che cosa ti serve il bus se non sei un minorenne, un disabile, un anziono, un povero? Ma vadano a quel paese!

  • Ci sei stato all’Hofbrauhaus?
  • Certo, mezzo litro di weiss non me l’ha tolto nessuno.
  • Weiss … la parola più bella del dizionario tedesco.
  • La seconda.
  • Davvero? Qual’è la prima?

Alzo l’indice al cielo.

  • Fluchtpunkt!

Mostra una smorfia orribile.

  • Flu-chè?
  • Fluchtpunkt. L’ho visto una volta nel titolo di un giornale, significa “punto di fuga”, il punto di fuga che c’è nei quadri.
  • Perchè ti piace? Scusa, ma è una parola orribile! 

Mi rilasso sul sedile, le gambe che si allungano.

  • Perché mi evoca qualcosa di pesante che affonda. Come un macigno che cade dentro l’acqua con un tonfo verso l’infinito, fino a scomparire nel buio. Ha una tranquillità terribile.

Chiara si muove un po’ per sistemarsi.

  • Andrea, cosa ci vai a fare a Monaco? Ti trasferisci?

“Ti trasferisci”? Che parole orribili.

  • Sì, mi trasferisco.

Ho provato in tutti i modi a restare, in tutti i modi, ma non ci posso credere di aver fallito. Non ci posso credere, non ci voglio credere. Essere ingegnere ti da l’idea che avrai un futuro a dispetto di tutto, ma quando senti una offerta che viene da fuori senti letteralmente un terremoto sotto i piedi. Quelle cifre sembravano venire da Marte, un futuro calato dal cielo.  

  • Non che mi piaccia.

Sporco, mi sento sporco ad aver accettato. Quanto avrei desiderato un’offerta anche del 20% minore qui in Italia, l’avrei accettata senza battere ciglio. Il mio non è un paese per giovani, ma neanche per i professionisti. La ricetta per la rovina.

Chiara getta un occhio dietro di me.

Ma cosa starà guardando?

Scatta seduta.

Il piedi vengono subito incrociati, come una statua di Buddha.

  • Facciamo così, ti concedo un figlio!

Un figlio?

  • Ma cosa-
  • Ho detto un figlio. Gli darò il nome Alice se femmina, Alessandro se maschio.

Vaaaaa bene …

  • Non capisco, perchè me lo dici?
  • Perché ho poco tempo e vorrei sapere come lo cresceresti?
  • Scusa, ma perchè io? Non sono un pedagogista?
  • Perché lo voglio sapere.

Beh … così su due piedi …

  • Non lo so. Crescere i figli non si può fare senza una buona base di improvvisazione. Come diceva Napoleone:”On s’engage et puis on voit”, “Prima si inizia poi si vede”. Però, se devo scegliere qualcosa di fondamentale da insegnare ad un figlio è l’autonomia.
  • Autonomia?
  • Sì. Io sono stato cresciuto eccessivamente protetto in alcune cose e abbandonato in altre, sempre con la scusa che “tu sei un bambino”, che spesso si traduce in “tu non dovresti farlo”. Io non voglio crescere un figlio così. Voglio discutere con lui, voglio … che si prenda pian piano la sua responsabilità, la sua capacità di vedere i problemi non come una cosa che non ti competono, ma un piccolo sasso sulla strada della vita che va affrontato.

Smetto di parlare, il silenzio del viaggio ritorna. Una bolla ingloba me e Chiara, il nostro sguardo si specchia all’infinito. Una tranquillità eterna …

Tuba un segnale rumoroso.

Siamo in arrivo a … Reggio Emilia

Chiara distende la schiena.

  • Sono arrivata, questa è la mia fermata!

Si alza in piedi infilandosi le scarpe in un soffio, alzandosi poi sulle punte per cogliere la valigia sopra la sua testa. La poggia per terra con un tonfo e si infila la giacca bianca con un volo sfavillante lanciando i lembi in aria e inforcando con le braccia, una alla volta.

Chiara si ferma, pronta per uscire, sospirando.

Mi guarda, gli occhi chiari, malinconici.

  • Sei mai stato fidanzato?

Il tono diverso mi scuote, sento che mi si paralizzano le ossa. Il treno per un attimo smette di ballare, la natura che si solleva fuori dal finestrino a galleggiare nel vuoto. Lei di fronte a me, umana quanto me.

Abbasso lo sguardo. 

  • No …

Perchè ogni volta ho avuto paura di avvicinarmi al fuoco, perché ho aspettato troppo, perchè sono un vigliacco, perché sono-

Sorride, la calma sotto una espressione, e si avvicina tirandosi dietro la valigia.

Mi dà un bacio sulla fronte, sopra gli occhiali, e mi accarezza i capelli ricci.

Il caldo delle sue labbra.

  • Buona fortuna, Andrea. Grazie …

Se ne va dietro di me. I suoi passi che scompaiono un po’ alla volta nel corridoio, nella massa che smonta dalla carrozza.

Anche lei se ne è andata. 

Accarezzo la fronte dove ha lasciato il suo saluto, l’umido della sua bocca. 

Già … 

Scivolo sommessamente verso il bordo del treno, lasciando la corsia centrale di nuovo al mio zaino e tornando all’esterno. La stazione di Reggio Emilia biancheggia sopra la mia testa, archi squadrati che sorreggono il cielo, il vetro a fare da malta invisibile. 

Uno sbuffo di porte si chiude di scatto.

Il treno accelera lentamente ed usciamo dal ventre della stazione verso l’infinito, la campagna emiliana di fronte a me, oltre alla quale c’è Bologna e poi Monaco e una nuova vita, un nuovo inizio, un nuovo principio. Però non riesco a pensare che, anche là, potrei non trovare la mia pace e, io che odio i viaggiare, comincerò a guarderò i treni in partenza da Monaco e sceglierò uno di loro, lasciandomi trascinare altrove, verso un punto imprecisato, cullato dai binari.