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Non ci capisco più niente.
Ti ho già raccontato la storia di Sole Ibnur. Ecco, non sono riuscito a trattenermi dal raccontare quella mia scoperta incredibile. Penso di averlo detto a tutti, soprattutto i miei servi. Da Tanio e Rosa, che mi hanno semplicemente ignorato mentre mi preparavano i capelli, fino a Sisa, che non penso sia sveglia abbastanza per capire cosa le stavo dicendo, ma almeno ha ascoltato.
Così sono arrivato a raccontare la storia a Camelia, la mia Maestra di Vestiti. Vedi, non te l’ho accennato, ma io e lei ci conosciamo da anni. È stata una delle prime serve che ho avuto assegnate a me e solo a me; ormai mi veste da quando ero piccolo e lei era una ragazza di circa l’età di mia sorella. È sempre stata una donna energica, ma anche estremamente attenta e meticolosa, nonché sempre pronta a scherzare. Mi ricordo quanto ci divertivamo quando, invece di provare i vestiti, ci buttavamo le stoffe addosso fino a creare delle montagne colorate. Lei aveva i brufoli che le crescevano sulle guance e un sorriso bambino. Adesso è una donna, le sue guance si sono indurite e i suoi occhi si sono appuntiti, schiacciati. Specialmente quando non sorride pare così … adulta
Quando le ho cominciato a raccontare questa storia, ha aspettato che tutti i servi uscissero perché fossimo io e lei. Mi ha fermato col palmo della mano. Mi ha raccontato una storia, di una ragazza che lei conosceva. Giocavano da ragazzine insieme e si incontravano ancora quando andava ad acquistare i tessuti o passava dalla tintoria. Quella aveva un amante, un tipo che lavorava al porto. Era una persona normale, aveva un lavoro semplice, non beveva e risparmiava volentieri. Sembrava normale, ma non lo era. Le stava costantemente addosso; si presentava davanti a dove lavorava, in una filatura proprio nel quartiere Porto, e ogni volta, a fine turno, la accompagnava fino a casa. Ad un certo punto non la faceva più uscire e, quando doveva per forza farlo per comprare del cibo, insinuava che avesse fatto gli occhi dolci al panettiere. Ad un certo punto non voleva che lavorasse, nonostante non potessero vivere entrambi senza. Lei lo ha lasciato e ha trovato una famiglia dove lavorare, ma non si è riuscita a separare: “lui fingeva di stare male e lei gli andava dietro”. Il tipo si arrabbiava spesso, ma non era violento, fino a quando non lo fu più e le spaccò la testa con un candelabro. Nessuno sa dove sia scappato. Tutto questo capita ogni giorno, da qualche parte, in Gothra, e se non è un omicidio è una scarica di botte o uno stupro o un insulto o qualunque altra cosa cattiva. Non sono tutti così, gli uomini dei non-Fondatori, ma quelli che lo sono non vogliono smettere di nascere.
Mi ha colpito una sua frase. Specialmente perché mi ha guardato con lo sguardo più serio che le abbia mai visto in faccia. “Voi gothriani (intende noi Fondatori) siete arroganti e maltratta i vostri servi, ma almeno trattate le vostre donne in maniera paritaria. La maggior parte degli uomini non è come voi.”
In quell’istante, il viso sottile, i ciuffi corti di capelli neri, il corpo affusolato, erano un atto di sfida gigantesco.
No, non mi sono offeso. Lo so, non è cosa opportuna, ma non posso considerare la feroce realtà delle sue parole e la disperazione di una ragazza che ha visto morire un’amica così.
Poi è mia sorella, non sarebbe opportuno punirla o licenziarla. Aspetta, specifico, è mia sorella a metà; è figlia di mio padre e di Stella, la mia Madre di Latte (d’altronde anche per questo è stata la Madre di Latte di mia sorella).
Sì, lo so che non è raro che uno dei propri servi sia un mezzo parente. Conosco molti che si sono fatti l’amante tra la propria servitù, vedi Vittorioso, per cui è normale che qualche figlio salti fuori.
Però lei non lo sa.
In famiglia tutti sappiamo che lei sarebbe nostra parente, ma abbiamo deciso di non riconoscerla. Il perché è complesso, non ha nulla a che fare con complotti e antipatie varie. Lei sarebbe eleggibile come Fondatore, almeno per le regole della mia famiglia, gli Aghifori, ma serve l’approvazione del capo-famiglia e considerando che siamo già 3 fratelli questo è quasi impossibile. Già siamo un nucleo numeroso, un ulteriore figlio sarebbe mal visto dalle altre sottofamiglie ufficiali, dove i nuclei hanno 1 o massimo 2 figli, anche visto e considerato che non siamo una sottofamiglia ufficiale. Per questo non abbiamo mai insistito perché fosse riconosciuta e non glielo abbiamo mai detto. Certo, lei e mia sorella si detestano, ma sono cose tra loro due, a mia madre non gliene è mai importato, lo dimostra il fatto che portano lo stesso nome.
Fatto sta che in quel momento, dopo aver sentito il suo discorso, dopo averla vista ripetermi quella storia, ho sentito un enorme affetto verso di lei. La sua amica, uccisa così, senza colpo ferire, per il desiderio di possesso di una bestia d’uomo. Una ragazza che chissà per quanto tempo … E lei lì, in piedi, dritta, a fissarmi negli occhi arrossati e le labbra si aprivano nervosamente, la lingua che scriveva di fronte a me tutto il veleno, la rabbia, la tristezza, il dolore, la sofferenza …
L’avrei voluta abbracciare. Sì, un abbraccio. Niente parole, niente di niente. “Gli abbracci non parlano, gridano”, lo diceva sempre Stella, e anch’io volevo gridare. Farle sentire che le voglio bene, che lei resta la mia più grande confidente e che io, anche se non è scritto, la considero la mia vera sorella, carne della mia carne, cuore del mio cuore.
Non l’ho fatto. Non so perchè, ma non l’ho fatto. Ci siamo scambiati uno sguardo e lei è tornata a sistemare le stoffe, mentre io ho tenuto la bocca chiusa.
Non penso sarebbe stato opportuno.
Tutto questo avveniva in Gothra il giorno 28 del Periodo del Buio, anno 568 del Tempo Ordinario.